CESARE. Biografia

Caio Giulio Cesare (100 o 102/ 44 a.C.), letterato, uomo politico e generale romano.
Naque a Roma da famiglia nobile di antichissime origini. Ricevuta una buona educazione filologica, venne allontanato dalla città da Silla, perchè simpatizzava per il partito democratico. Nel 60 fece parte del primo triunvirato con Pompeo e Crasso, ottenendo il consolato nel 59. Proconsole e governatore delle Gallie nel 58, conquistò nel giro di otto anni la provincia gallica. Fattosi eleggere dittatore a vita, sembrò propenso a una serie di profonde revisioni, anche di ordine costituzionale, facendo nascere il sospetto che nutrisse ambizioni monarchiche: a causa di ciò, una congiura di esponenti repubblicani lo assassinò alle Idi (15) di marzo del 44.

CESARE. De bello gallico

Il " De bello gallico" di Cesare è il resoconto, chiaro ed essenziale, del suo intervento militare in Gallia tra il 58 e il 52 a.C. Il testo ha i caratteri della storiografia cosiddetta "pragmatica" (attenta prevalentemente alla descrizione dei fatti). Vi si può cogliere l'intenzione propagandistica di Cesare, volta soprattutto a difenderlo da quanti, lontano, a Roma, criticavano e denigravano il dispendio di mezzi e di uomini richiesto dall'impresa gallica. Si ritiene che l'autore voglia, con i Commentari, divulgare tra i Romani le "res gestae", sue e dei legionari, in terre tanto lontane e sconosciute, per crearsi le basi per la futura ascesa politica.

CESARE. Testi e traduzione

Cesare, De bello gallico III, 10; III,18; III, 19; III,21; III, 22; IV, 5;  IV, 13; V, 3VI, 20; VII, 3; VII, 14; VII, 22; VII, 77;  VII, 89;

III, 10

Itaque cum intellegeret, omnes fere Gallos novis rebus studere et ad bellum mobiliter celeriterque excitari, omne autem homines natura libertati studere et condicionem servitutis odisse, priusquam plures civitates conspirarent, partiendum sibi ac latius distribuendum exercitum putavit. Pertanto, comprendendo che quasi tutti i Galli erano bramosi di novità ed eccitabili e facili e pronti alla guerra e che in genere tutti gli uomini naturalmente amano la libertà e odiano lo stato servile, prima che altri popoli ancora si unissero con loro, pensò di spartire e dislocare più ampiamente l'esercito.

III, 18

...(Sabinus) idoneum quendam hominem et callidum delegit, Gallum, ex iis, quos auxilii causa secum habebat. Huic magnis praemiis pollicitationibusque persuadet uti hostes transeat... ...(Sabino) scelse un individuo scaltro e adatto allo scopo, un gallo di quelli delle milizie ausiliarie, e con la promessa di grandi ricompense lo indusse a passare al nemico...

III, 19

Nam ut ad bella suscipienda Gallorum alacer ac promptus est animus, sic mollis ac minime resistens ad calamitates perferendas mens eorum est. Poiché i Galli hanno animo focoso e pronto ad entrare in guerra; ma la loro indole è fiacca e poco resistente alle disfatte.

III, 21

..quibus fortiter resistentibus..... ...ma poiché essi ( i Soziati) facevano vigorosa resistenza...

III, 22

...quos illi soldurios appellant, quorum haec est condicio, uti omnibus in vita commodis una cum iis fruantur, quorum se amicitiae dederint, si quid his per vim accidat, aut eundem casum una ferant aut sibi mortem consciscant; neque adhuc hominem memoria repertus est quisquam, qui eo interfecto, cuius se amicitia devovisset, mortem recusaret... ...che i Galli chiamano "soldurii" (guardie scelte e fidate); il loro patto è di godere in vita di tutti gli agi insieme con coloro alla cui amicizia si sono votati e, se costoro periscono di morte violenta, o di divedere la loro sorte o di uccidersi di propria mano. Né mai a memoria d'uomo si è trovato uno che, morto colui alla cui amicizia si era votato, rifiutasse di morire.

IV, 5
His de rebus Caesar certior factus et infirmitatem Gallorum veritus, quod sunt in consiliis capiendis mobiles et novis plerumque rebus student, nihil his committendum existimavit. Est enim hoc Gallicae consuetudinis, uti et viatores etiam invitos consistere cogant et, quid quisque eorum de quaque re audierit aut cognoverit, quaerant, et mercatores in oppidis vulgus circumsistat quibusque ex regionibus veniant quasque ibi res cognoverint, pronuntiare cogat. His rumoribus permoti de summis saepe rebus consilia ineunt, quorum eos in vestigio paenitere necesse est, cum incertis rumoribus serviant et plerique ad voluntatem eorum ficta respondeant.

Di tutto ciò informato, Cesare, temendo la leggerezza dei Galli, che mutano facilmente pensiero e per lo più sono avidi di novità, pensò che non poteva fidarsi di loro. Infatti è consuetudine dei Galli obbligare i viandanti a fermarsi anche contro voglia, e fare loro mille domande su ciò che hanno sentito dire o appreso; e quando i mercanti giungono nella città, la folla li attornia e li costringe a dire da che paesi provengano e che notizie vi abbiano intese. E mossi da tali vaghe dicerie spesso prendono risoluzioni gravissime, delle quali lì per lì si devono poi pentire, perché sono schiavi delle voci che corrono, voci che i più inventano per secondare il loro volere.

IV, 13

...Caesar neque iam sibi legatos audiendos neque condiciones accipiendas arbitrabatur ab iis, qui per dolum atque insidias, petita pace ultro bellum intulissent... ...Cesare ritenne di non poter più ricevere ambasciatori e discutere patti con gente che chiedeva la pace e invece con perfido inganno attaccava per prima...

V, 3

Haec civitas longe plurimum totius Galliae equitatu valet magnasque habet copias peditum, Rhenumque.. tangit. Questa popolazione (i Treviri) è di gran lunga la più forte con la cavalleria di tutta la Gallia, ed ha pure grandi forze di fanteria e... giunge fino al Reno.



VI, 20
Quae civitates commodius suam rem publicam administrare existimantur, habent legibus sanctum, si quis quid de re publica a finitimis rumore aut fama acceperit, uti ad magistratum deferat neve cum quo alio communicet, quod saepe homines temerarios atque imperitos falsis rumoribus terreri et ad facinus impelli et de summis rebus consilium capere cognitum est. Magistratus, quae visa sunt, occultant, quaeque esse ex usu iudicaverunt, multitudini produnt. De re publica nisi per concilium loqui non conceditur.

Le città che fanno una migliore politica hanno prescritto per legge che se uno, attraverso voci vaghe e per sentito dire, ha saputo dai popoli vicini qualche notizia che riguardi lo stato, deve riferirla al magistrato e non confidarla ad altri, perché si sa che, imprudenti e inesperti, si lasciano spaventare da false dicerie, sono indotti ad azioni dannose, e prendono risoluzioni estreme. I magistrati tengono nascosto ciò che loro sembra opportuno, mentre ciò che è utile riferiscono alla moltitudine. Degli affari di stato non si può discutere se non in assemblea.

 

VII, 3

Nam ubi quae maior atque illustrior incidit res, clamore per agros regionesque significant; hunc alii deinceps excipiunt et proximis tradunt, ut tum accidit. Poiché essi, non appena accade un avvenimento più importante e più clamoroso del solito, lo trasmettono con grida per campagne e paesi; ricevuto il messaggio, gli uni lo passano successivamente ai più vicini, come avvenne allora.

VII, 14

"..Praeterea salutis causa rei familiaris commoda neglegenda: vicos atque aedificia incendi oportere hoc spatio obvia quoque versus, quo pabulandi causa adire posse videantur... Haec si gravia atque acerba videantur, multa illa gravius aestimari debere, liberos coniuges in servitutem abstrahi, ipsos interfici; quae sit necesse accidere victis". (Sono parole di Vercingetorige che sta incitando i suoi a resistere strenuamente) "..Bisogna inoltre per la comune salvezza dimenticare gli interessi privati; bisogna incendiare i villaggi e le abitazioni tutto intorno e in ogni punto dove si possa credere che essi (i Romani) vengano a foraggiare... Se tali mezzi vi paiono gravi e duri, dovete stimare molto più grave vedere i figli e le mogli tratte in servitù ed uccise; ché tale è il destino dei vinti".

VII, 22

Singulari militum nostrorum virtuti consilia cuiusque modi Gallorum occurrebant, ut est summae genus sollertiae atque ad omnia imitanda et efficienda, quae a quoque traduntur, aptissimum. Al singolare valore dei nostri soldati si opponeva, da parte dei Galli, ogni tipo di espedienti, com'è proprio di gente di straordinaria destrezza e fatta apposta per imitare e riprodurre quello che vedono fare da altri.

VII, 77

...non praetereunda oratio Critognati videtur propter eius singularem et nefariam crudelitatem. Non mi sembra di dover tacere il discorso di Critognato per la sua singolare e spaventosa atrocità. (I Galli sono assediati dai Romani ad Alesia e sono ormai privi di viveri. Il gallo Critognato propone di imitare gli antenati che resistettero cibandosi dei compagni inabili alle armi).

VII, 89

Postero die Vercingetorix concilio convocato id bellum se suscepisse non suarum necessitatum, sed communis libertatis causa demonstrat, et quoniam sit fortunae cedendum, ad utramque rem se illis offerre, seu morte sua Romanis satisfacere seu vivum tradere velint. (Vercingetorige parla al consiglio dopo la sconfitta): Il giorno dopo Vercingetorige convocò il consiglio, e dichiarò che aveva intrapresa quella guerra non per i suoi interessi, ma per la comune libertà. E poiché bisognava cedere alla fortuna, egli offriva loro la scelta:  o placare i Romani con l'ucciderlo o consegnarlo vivo.

CESARE. Analisi testuale

Analisi testuale del capitolo: De bello gallico, VI, 20

De bello gallico
VI, 20

Quae
civitates commodius suam rem publicam administrare existimantur, habent legibus sanctum, si quis quid de re publica a finitimis rumore aut fama acceperit, uti ad magistratum deferat neve cum quo alio communicet, quod saepe homines temerarios atque imperitos falsis rumoribus terreri et ad facinus impelli et de summis rebus consilium capere cognitum est. Magistratus, quae visa sunt, occultant, quaeque esse ex usu iudicaverunt, multitudini produnt. De re publica nisi per concilium loqui non conceditur.

Analisi lessicale
Il testo presenta due sfere semantiche contrapposte, una nel campo politico-istituzionale, l’altra in quello della comunicazione. Inoltre Cesare fa riferimento a due gruppi di persone che, essendo ai poli estremi della scala sociale, si pongono in un rapporto dialettico di tipo oppositivo: i magistrati ed il resto del popolo.
Mentre i magistrati sono descritti oggettivamente, il popolo viene presentato negativamente attraverso sostantivi come homines e multitudini, che gli attribuiscono il significato di massa amorfa priva di ogni voce politica. Il popolo è inoltre definito da espressioni come temerarios atque imperitos, falsis rumoribus terreri ed è giudicata facile alla paura ed allo sconforto ed a prendere decisioni impulsive su questioni di massima importanza (de summis rebus consilium capere ).
Contrapposto al sistema politico-istituzionale celtico in cui il popolo non ha alcuna rilevanza è invece il “modello” romano che attribuisce ai cittadini un’importanza giuridica.
Analisi sintattica
Il primo periodo si apre con una relativa prolettica (quae...existimantur) in cui il verbo di stima è costruito personalmente. Seguono poi un periodo ipotetico la cui protasi è si...acceperit e le cui apodosi sono due completive con sfumatura volitiva-finale, uti...deferat e neve...communicet. La principale è civitates habent legibus sanctum.
Il
quod introduce una causale (cognitum est) che regge tre infinitive coordinate per polisindeto.
Il secondo periodo presenta una simmetria, i cui termini sono due: magistratus...occultant (principale) e quae visa sunt (relativa) da una parte e magistratus multitudini produnt (coordinata alla principale) e quaeque esse ex usu iudicaverunt (relativa e infinitiva) dall’altra. Non è possibile parlare di vera e propria concinnitas poiché la seconda relativa è accompagnata da un’infinitiva.
Analisi retorica
Come spesso nello stile chiaro ed essenziale di Cesare, non si notano particolari figure retoriche, a parte il poliptoto quis quid ed il polisindeto et...et. Il primo richiama l’uso del linguaggio legale e mette in evidenza l’indeterminatezza delle dicerie diffuse, il secondo insiste sulle azioni criminali e le decisioni avventate a cui possono cedere i Galli, "temerarii atque imperiti",  in seguito a voci incontrollate.
Nel descrivere popoli da lui ritenuti inferiori, Cesare tiene sempre presente come termine di paragone il modello di vita romano.

CESARE. Commento

Nella celebre digressione etnografica del libro VI (11-24) del De bello gallico Cesare ci dà un quadro sintetico, ma molto preciso della civiltà gallica, che tratta sotto tre aspetti: politico-sociale, militare e religioso. Il discorso di Cesare ha un carattere di oggettività, escluso il capitolo VI,20, il solo di questa sezione che abbiamo riportato, perché particolarmente in questo Cesare esprime dati che comportano un confronto sottinteso col mondo romano e quindi un giudizio.
Cesare riconosce ai Galli, come a tutti gli uomini, di amare la libertà, per la quale sono disposti a combattere con vigore e nel combattimento sono temibili. Aggiunge tuttavia che essi sono instabili, eccitabili, ingannatori, infedeli perché corruttibili, e infidi perché violatori dei patti, furbi e propensi ad imitare chi suscita la loro ammirazione. Facili ad accendersi, mancano di continuità e di tenacia e la sconfitta li deprime. I migliori tra loro possono arrivare a grandi prove di dedizione, come nel caso dei soldurii; di sprezzo per la propria vita, come nel caso di Vercingetorige, prima e dopo la sconfitta; o, nel caso di Critognato, di estremo coraggio: episodio che tuttavia Cesare definisce in termini negativi perché spaventoso nella sua atrocità.
Eccitabile ed ingenua, imprudente e inesperta, la massa è per questo priva di ogni voce politica.