All'indice alfabetico - All'archivio mensile - A Wordpress - Ai miei racconti - Alle mie foto - A Blogger
In questi giorni grigi e freddi, quando noi orsi motociclisti, inzuppati dalle piogge battenti agogneremmo essere in una grotta a russare come i confratelli dei boschi, in attesa del ritorno della primavera, andavo ripensando all'altra strategia di sopravvivenza alla brutta stagione, molto in voga soprattutto fra i pesci e i pennuti: la migrazione verso luoghi caldi. O di pinne o di penne molti di loro affrontano viaggi epici di migliaia di chilometri per allontanarsi dai luoghi freddi e procurarsi un confortevole tepore invernale. Anche i nomadi dediti alla pastorizia, sebbene fossero banali bipedi terrestri e inplumi, assecondavano la virtuosa abitudine di greggi e armenti, trasferendosi dai freschi alpeggi alle tiepide pianure. Noi no, siamo dei duri, restiamo inchiodati alle nostre città, anche quando fa troppo caldo o troppo freddo, con l'eccezione di brevi ed insoddisfacenti parodie migratorie: gli esodi estivi o natalizi, niente altro che insensate fughe collettive da città sempre più inospitali, verso luoghi invivibili come le stazioni balneari o invernali nei periodi di punta. Pare, però, che i parigini che possono farlo, lasceranno la loro città la prossima settimana, in corrispondenza di una vacanza scolastica, così ho deciso di approfittarne, nella speranza di trovare la città meno affollata del solito. Domani, domenica, partirò, viaggiando controcorrente, anche senza penne o pinne adeguate, per sniffare una boccata di smog alternativo a quello quotidiano di casa, un'improvvisa overdose di ossigeno potrebbe ammazzarmi. Nella foto il celebre Caproni CA100 della Regia Aeronautica, prodotto in serie dal 1925 al '29 Nel fregio in alto, le oche canadesi, campionesse di migrazioni stagionali
In questi giorni grigi e freddi, quando noi orsi motociclisti, inzuppati dalle piogge battenti agogneremmo essere in una grotta a russare come i confratelli dei boschi, in attesa del ritorno della primavera, andavo ripensando all'altra strategia di sopravvivenza alla brutta stagione, molto in voga soprattutto fra i pesci e i pennuti: la migrazione verso luoghi caldi. O di pinne o di penne molti di loro affrontano viaggi epici di migliaia di chilometri per allontanarsi dai luoghi freddi e procurarsi un confortevole tepore invernale. Anche i nomadi dediti alla pastorizia, sebbene fossero banali bipedi terrestri e inplumi, assecondavano la virtuosa abitudine di greggi e armenti, trasferendosi dai freschi alpeggi alle tiepide pianure. Noi no, siamo dei duri, restiamo inchiodati alle nostre città, anche quando fa troppo caldo o troppo freddo, con l'eccezione di brevi ed insoddisfacenti parodie migratorie: gli esodi estivi o natalizi, niente altro che insensate fughe collettive da città sempre più inospitali, verso luoghi invivibili come le stazioni balneari o invernali nei periodi di punta. Pare, però, che i parigini che possono farlo, lasceranno la loro città la prossima settimana, in corrispondenza di una vacanza scolastica, così ho deciso di approfittarne, nella speranza di trovare la città meno affollata del solito. Domani, domenica, partirò, viaggiando controcorrente, anche senza penne o pinne adeguate, per sniffare una boccata di smog alternativo a quello quotidiano di casa, un'improvvisa overdose di ossigeno potrebbe ammazzarmi.
Nella foto il celebre Caproni CA100 della Regia Aeronautica, prodotto in serie dal 1925 al '29 Nel fregio in alto, le oche canadesi, campionesse di migrazioni stagionali
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 25 ottobre 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Indirizzo permanente - Al blog più recente - All'indice alfabetico - Cerca... - In fondo - All'inizio
Mentre scrivo su di una piccola finestra di Note Tab, continuo a vedere sul brillante schermo LCD la foto di un borghetto vicno al monte delle formiche sull'Appenino bolognese. L'ho scelta come sfondo già da un paio di mesi e penso resistrà ancora. Si tratta di quattro case e di una torre sulla cima di una collinetta inserita in un paesaggio inequivocabilmente invernale di prati e di alberi spogli. L'ho scattata il 16 marzo scorso, al limitare della primavera astronomica, ma la vegetazione, ignara di calendari gregoriani, manteneva ancora prudenzialmente l'abito invernale, come del resto noi cristiani in gita fuoriporta per una sgranchitina su strade di crinale e sentieri poco battuti, dopo una sobria grigliata di carne (una in due) in un'osteria scelta caso. Quando si avvicina l'una ci si ferma al primo posto che ispiri e sia aperto. Di sabato a pranzo si mangia tranquilli con poca gente e senza rumore o affanno. La foto scattata da una collina vicina, sovrastante di poco il borghetto, trae la sua piacevolezza dalla difformità armoniosa delle povere case dall'intonaco sbiadito, dalla loro posizione dettata dalla pendenza del declivio e dal commovente scatto d'orgoglio di una torre, del tutto incongrua rispetto alla disarmante umiltà dell'insieme. Un sabato o l'altro ci tornerò in una stagione diversa, magari con la magia della neve.
Mentre scrivo su di una piccola finestra di Note Tab, continuo a vedere sul brillante schermo LCD la foto di un borghetto vicno al monte delle formiche sull'Appenino bolognese. L'ho scelta come sfondo già da un paio di mesi e penso resistrà ancora.
Si tratta di quattro case e di una torre sulla cima di una collinetta inserita in un paesaggio inequivocabilmente invernale di prati e di alberi spogli. L'ho scattata il 16 marzo scorso, al limitare della primavera astronomica, ma la vegetazione, ignara di calendari gregoriani, manteneva ancora prudenzialmente l'abito invernale, come del resto noi cristiani in gita fuoriporta per una sgranchitina su strade di crinale e sentieri poco battuti, dopo una sobria grigliata di carne (una in due) in un'osteria scelta caso. Quando si avvicina l'una ci si ferma al primo posto che ispiri e sia aperto. Di sabato a pranzo si mangia tranquilli con poca gente e senza rumore o affanno. La foto scattata da una collina vicina, sovrastante di poco il borghetto, trae la sua piacevolezza dalla difformità armoniosa delle povere case dall'intonaco sbiadito, dalla loro posizione dettata dalla pendenza del declivio e dal commovente scatto d'orgoglio di una torre, del tutto incongrua rispetto alla disarmante umiltà dell'insieme. Un sabato o l'altro ci tornerò in una stagione diversa, magari con la magia della neve.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 17 ottobre 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
In questi giorni, aprendo le doppie finestre, entra dal terrazzo il profumo intenso di un gelsomino a spalliera coperto di vigorosi grappoli di fiori bianchi. Nessuno di noi, in famiglia, sa interpretare questo gesto trasgressivo di una pianta che, in passato, si era adagiata sui ritmi conformistici di una lunga fioritura durante la tarda primavera e l'estate. Fin da da quando ero bambino, il profumo del gelsomino bianco, come quelli simili del caprifoglio e delle tuberose, significava per me: estate, vacanze, giochi all'aperto e grilli notturni sotto le finestre aperte. Ora che i tigli stanno ricoprendo di foglie gialle il vialetto e le finestre rimangono normalmente chiuse, il profumo del gelsomino sul terrazzo è un piccolo tuffo al cuore gradito, ma inatteso; l'annuncio ingannevole di un' estate che invece è finita e tornerà solo dopo un lungo inverno freddo e senza altri profumi, se non quello prezioso del calicantus.
Foglie dei tigli di casa sotto la pioggia battente
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 13 ottobre 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
-- A sinistra il celebre bronzetto etrusco "L'ombra della sera" - Volterra
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 11 ottobre 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
--- L'edificio così acutamente triangolare della figura si trova a Berlino
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 10 ottobre 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Andando all'osso, tutta la faccenda si riduce ad ordinari casi di corruzione a buon mercato di impiegati anagrafici che accettano di registrare come morto il possessore di un piccolo, ma ambitissimo poderetto. I parenti famelici vanno all'ufficio anagrafico, sganciano una modesta mazzetta (da 1 a 50 Euro) all'impiegato che ammazza all'istante sui suoi registri il disgraziato possessore di un fazzoletto di terra. Nessuno si sporca le mani di sangue, ma la morte burocratica è tale a tutti gli effetti, basti pensare che il signor Lal Bihari ha impiegato 18 anni, durante i quali ne ha fatte di tutti colori, per farsi resuscitare e tornare in possesso dei suoi miseri beni. I premi IGnobel vengono assegnati da 13 anni a ricerche inutili che "prima fanno sorridere, poi pensare". Chi volesse vederne l'elenco, con le motivazioni (in inglese) e tutto il resto vada su: http://www.improbable.com/ig/ig-pastwinners.html Fra gli altri, interessante l'ignobel per la chimica attribuito quest'anno ad un giapponese che ha indagato sulle ragioni per cui una statua di bronzo della sua città appariva meno bersagliata dai piccioni di altre della stessa nobile lega.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 09 ottobre 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Io calafato, tu calafata, egli non ce la fa a calafatare ed è meglio che cambi mestiere. Calafatare richiede canapa, pace, pece e pazienza. Nel ramo calafatatura senza canapa non si campa. Se la calafatatura è a regola d'arte la nave solca le onde, altrimenti ara il fondo. Quando una nave mal calafatata tocca il fondo, vi si adagia con grazia e ci resta senza annaspare nell'inutile tentativo di risalire e in ciò si differenzia dall'homo sapiens sapiens che ottiene lo stesso risultato, ma agitandosi scompostamente. Calafatare consiste nell'infilare con sapienti colpetti la canapa in una fessura molto stretta fra due doghe di legno, pertanto senza fessura non c'è calafatatura, ma non viceversa. Se una galera di legno galleggia perché ben calafatata tutti i galeotti se ne rallegrano benché incatenati, in caso contrario perdono la loro allegria e sviluppano tendenze all'annegamento collettivo. La calafatatura non attecchisce sulle barche di plastica perché prive delle indispensabili fessurazioni che apparivano spontaneamente nel fasciame delle ben costruite navi di legno, fin dai tempi di Omero. Molti se ne rallegrano, ma non i calfatatori che vedono scemare la loro arte e sentono di essere ormai in via di estinzione; per questo usano la canapa in modi nuovi, stigmatizzati dai benpensanti.
La figura rappresenta una galera veneziana del XIV secolo
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 08 ottobre 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 06 ottobre 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 05 ottobre 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
"La bacchetta del teatro conta fino a 24.." Anche le filastrocche e le conte cambiano di città in città, com'è giusto e ragionevole, del resto. Forse la televisione riuscirà ad imporre una certa globalizzazione anche in questo settore, ma in passato la differenza fra un bambino modenese o bolognese ed uno romano erano notevoli, anche in questo importante dominio culturale. Quando ci trasferimmo da Bologna a Roma io avevo nove anni, frequentavo la quarta e giocavo più che potevo. Siccome la scuola statale era un po' distante ed il percorso casa-scuola obbligava all'attraversamento di alcune grandi strade di traffico, i miei m'iscrissero ad una scuola di suore tedesche che vantava un magnifico giardino a cinquanta metri da casa. Questo fu il solo motivo per me di quella scelta, ma, frequentandola, mi resi conto che invece i miei nuovi compagni stavano percorrendo i primi gradini preparatori ad un cursus honorum che sarebbe continuato in cattolicissime scuole superiori e, presumo, nell'Università cattolica, anticamera confortevole per una carriera politica nel partito di governo o nei meandri imperscrutabili delle capaci strutture amministrative che prosperavano all'ombra del cupolone. L'anno successivo, diventato più esperto del traffico, fui iscritto in quinta nella scuola pubblica: un orrendo edificio in puro stile fascista intitolato ai "Fratelli Bandiera", sfortunati patrioti fucilati nel vallone di Rovito che, più tardi, offrirono, loro malgrado, lo spunto alle clamorose "Sorelle Bandiera" con il loro irriverente "Fatti più in là" de "L'altra domenica": la trasmissione televisiva domenicale di Renzo Arbore negli anni '70. Che carriera abbiano fatto i miei compagni educati dalle suore tedesche non ho mai saputo perché rapidamente persi memoria dei loro cognomi oltre che delle loro facce; ricordo soltanto che per giocare con loro nel bel giardino romano mi toccò imparare a memoria nuove conte e aggiornare il mio dizionario dei giochi con nomi per me esotici, quali puzzico rampichino, che nel corso della vita successiva non ho poi avuto occasione di sfruttare a fondo, perfino meno del greco antico, oggetto di studio spassoso per ben cinque anni. All'urdu non mi sono ancora avvicinato con adeguato entusiasmo.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 01 ottobre 2003 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)