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A sinistra, vecchi alberi stremati lungo il viale che lambisce il vecchio campo da polo nei giardini regina Margerita di Bologna A destra, il viale che conduce a porta Castiglione. Qui sotto il lagetto dei giardini, semi ghiacciato
Nemmeno i russi, abituali frequentatori dello Chalet durante i freddi week-end invernali hanno osato avventurarsi oggi, durante la più notevole nevicata degli ultimi anni. (foto sotto)
... ma le anitre non demordono
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 28 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
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Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 27 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Ai nostri giorni, morire d'inedia è raro i più muoiono semplicemente di fame
Pesci rossi affamati
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 26 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
...spero di svegliarmi sul solito cuscino di piume!
(immagine a quattro mani di Emilia e @lec)
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 25 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
In mezzo alla lavanda del giardino sogna la bimba sotto il suo piumino fatto di tante pezze colorate tutti ritagli di stoffe avanzate. Tacciono i grilli per non disturbare, solo le lucciole continuano a volare. Contenta del suo ciucciotto naturale la bimba sogna ancor prima di dormire un mondo profumatato di lavanda cilestrina dove il suo gatto rincorre la pallina mentre la luna si ferma per guardare.
oppure... Con il profumo della lavanda sembra una reggia anche una branda. Siate gentili, non disturbate, sotto un piumino di stoffe avanzate, questa bambina che stenta a dormire pensando a un sogno che vuole finire.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 23 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
E' in corso a Bologna una piccola mostra allestita nel lapidario del Museo medievale in via Manzoni, dal tittolo ""La cattedrale scolpita. Il romanico in San Pietro a Bologna". La mostra non si segnala tanto per la quantità, quanto piuttosto per l'allestimento accurato e la presenza di alcuni pezzi preziosi. Qui mostriamo solo un prezioso codice che lascia scorgere chiaramente le glosse al margine sinistro del testo, opera dei "glossatori": i celebri maestri giuridici che, attirando allievi da tutta Europa, diedero vita allo "Studium" di Bologna, cioè al nucleo iniziale della più antica Università degli Studi del mondo, come si sa.
E' in corso a Bologna una piccola mostra allestita nel lapidario del Museo medievale in via Manzoni, dal tittolo ""La cattedrale scolpita. Il romanico in San Pietro a Bologna". La mostra non si segnala tanto per la quantità, quanto piuttosto per l'allestimento accurato e la presenza di alcuni pezzi preziosi.
Altre notizie le trovi a:http://www.italica.rai.it/principali/argomenti/arte/cattedrale.htm
Per chi non lo conoscesse già, è una buona occasione per una visita al museo stesso sia per l'elegante collocazio nel palazzo Ghisilardi Fava, sia per la ricchezza della colezione. A chi lo ha già apprezzato, invece farà sempre piacere un "ripasso" rilassante dei pezzi più amati; infatti il biglietto d'ingresso alla mostra permette anche la visita del museo. Ulteriori informazioni a. http://www.comune.bologna.it/iperbole/MuseiCivici/indexmedievale.htm Inseriamo qui solo uno degli eleganti bassorilievi che rappresentano una lezione medievale; notevole l'età degli "studenti".
Ulteriori informazioni a. http://www.comune.bologna.it/iperbole/MuseiCivici/indexmedievale.htm
Inseriamo qui solo uno degli eleganti bassorilievi che rappresentano una lezione medievale; notevole l'età degli "studenti".
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 22 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Elaborazione digitale di un angolo del primo cortile interno del più simbolico dei palazzi di Bologna Come si chiama?
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 20 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Iceberg galleggiante sul Lago Argentino. Provincia di Santa Cruz, Argentina.
Posizione: 50º20'S, 72º45'O; 187 msnm. Superficie: 1466 chilometri quadrati Profondità massima: 500 metri
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 11 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
"Con la testa sopra le nuvole, capita di vedere il sole anche nei giorni nebbiosi" Sarchiapone - Minimalia (inedito) Parco nazionale cinese
"Con la testa sopra le nuvole, capita di vedere il sole anche nei giorni nebbiosi"
Sarchiapone - Minimalia (inedito)
Parco nazionale cinese
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 10 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 08 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Elaborazione digitale di un angolo del primo cortile interno del più simbolico dei palazzi di Bologna. Come si chiama?
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) sab 07 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Vor der Kaserne Vor dem großen Tor Stand eine Laterne Und steht sie noch davor
(Tutte le sere / sotto quel fanal / presso la caserma / ti stavo ad aspettar. )
Nel 1943 gli anglo-americani cominciarono a diffonderne, attraverso la BBC, una versione cantata da Lucy Mannheim, riscritta e ricantata al femminile, con lo scpopo di fiaccare ulteriormente gli animi dei soldati tedeschi che percepivano, ormai, l'inevitabile disfatta. L'incipit è significativo:
Ich muß heut' an Dich schreiben, Mir ist das Herz so schwer. Ich muß zu Hause bleiben Und lieb Dich doch so sehr.
In taliano suonerbbe circa così: Oggi ti devo scrivere / con il cuore affranto./ Debbo restare a casa / mentre ti amo tanto.
Quanto abbia contribuito alla vittoria finale, non è facile da dire, certamente il testo, banale, sacrifica allo scopo militare ogni altro intento. A farne le spese è anche la celebre Lanterne. Il solo palo che abbia goduto di grande popolarità sparisce per ragioni politiche, fortunatamnete per lui ci penserà Marlene Ditrich, nel dopoguerra, a dare nuove gambe e fiato alla canzone in versione orginale, completa del celebre palo con "fanal". Chi volesse riascoltare le varie versioni in formato mp3 o leggere il testo completo vada a:
http://www.ingeb.org/garb/lmarleen.html
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 06 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Ancora a proposito di dolci di carnevale (e dintorni), voglio parlare oggi delle zeppole di S. Giuseppe, di origine napoletana, ma diffuse su di un'area ben più vasta... fino a New York, dove sono state ribatezzate "italian doughnuts". Le introduco con una ricetta storica in napoletano antico, molto interessante per il linguaggio colorito ed ormai esotico, alle nostre orecchie.
LE ZEPPOLE DI IPPOLITO CAVALCANTI
( tratto da: Il grande libro della pasticceria Napoletana)
Miette ncoppa a lo ffuoco na cazzarola co meza carrafa d’acqua fresca, e no bicchieredevino janco, e quanno vide ch’accommenz’a fa lle campanelle, e sta p’ascì a bollere nce mine a poco a poco miezo ruotolo, o duje tierze de sciore fino, votanno sempe co lo laniaturo; e quanno1a pasta se scosta da tuorno a la cazzarola, allora è fatta, e la lieve mettennola ncoppa a lo tavolillo, co na sodonta d’uoglio; quanno è mezza fredda, che 1a può manià, la mine co lle mmane per farla schianà si pe caso nce fosse quacche pallottola de sciore: ne farraje tanta tortanelli come sono li zeppole, e le friarraje, o co l’uoglio, o co la nzogna, che veneno meglio, attiento che la tiella s’avesse da abbruscià; po co no spruoccolo appuntuto le pugnarraje pe farle squiglià, e farle veni vacante da dinto; l’accuonce dinto a lo piatto co zuccaro, e mele. Pe farle venì chiù tennere farraje la pasta na jurnata primma.
o, più banalmente, in italiano:
Prendete mezzo chilo di farina finissima, poi misuratela a bicchieri. In una casseruola, versate tanti bicchieri d’acqua quanti sono quelli di farina e unitevi un pizzico di sale. Ponete il recipiente sul fuoco e, appena ]’acqua accenna l’inizio dell’ebollizione, buttatevi di colpo la farina. Mescolate con un cucchiaio di legno, senza mai fermarvi, il composto e, quando in un sol colpo si staccherà dalla casseruola, spegnete il fuoco. Battete la pasta sul marmo leggermente cosparso di olio, lavoratela, per circa dieci minuti, battendola energicamente col matterello. Quando la pasta sarà bene affinata e morbida, modellatela in tanti bastoncini della grandezza di un mignolo e lunghi una ventina di centimetri. Riunite le estremità dei bastoncini formando delle ciambelline ovali (non rotonde). Friggete le zeppole nella padella nera con abbondante olio caldo, a calore moderato. Durante la friggitura, bucherellatele qua e là con la punta di uno spiedino. Sgocciolatele biondissime e cospargetele abbondantemente di zucchero, mescolato ad una bustina di vaniglina.
...o in inglese:
http://www.allbaking.net/ch/2000/december/marioholiday3.html
Se ve ne avanza una, tenetemela, mi piacciono anche fredde.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 05 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Il nome più diffuso per il dolce di carnevale più semplice e più popolare in Italia è chiacchiere, ma come altre buone cose, profondamente radicate nei costumi locali, cambia nome di paese in paese, pur conservandosi immutato. C'è chi le chiama frappe, chi bugie, ma anche sfrappole, cenci, lattughe, galani e crostoli.
In una ristretta area fra il Secchia e il Mincio, dove la pianura emiliana si fonde nella nebbia invernale con quella lombarda, si chiamano rosoni.
Ricordo che nella vecchia casa di famiglia a C., dove trascorrevo "a piede libero" parte delle mie vacanze di bambino di città, si preparavano in un modo diverso da quanto continuiamo a fare , ancora oggi nella casa di città.
La mia vecchia prozia M., cuoca insuperata nei ricordi e nei fatti, tagliava la sfoglia dolce in tagliatelle larghe un dito e lunghe poco più di una spanna e le gettava, flosce e manovrabili, in un profondo pignattino di terracotta smaltata, dove friggeva lo strutto. Prima che indurissero, riusciva ad annodarli con l'aiuto di due stecchi ricavati dalle fascine, suscitando la mia incondizionata ammirazione, superata solo dal piacere di mangiare il risultato di questa sua abilità. Erano eleganti nodi di Savoia, leggeri, croccanti, belli da vedere e buoni da mangiare, caldini e spolverati di zucchero a velo.
Noi, oggi li facciamo nella forma più tradizionale, rombi di sfoglia con due tagli e sono forse altrettanto buoni, specialmente se evitiamo di cospargerli di abbondante bicarbonato, scambiato per zucchero a velo. La scena degli ospiti che, dapprima sorpresi, poi divertiti, soffiano ovunque il bicarbonato per addentare le sfrappole, tornate quasi nude e pulite, vale la pena di essere goduta, però, almeno una volta nella vita.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 04 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
La strada era diritta e, all'apparenza. senza fine. Il terreno collinoso con morbidi dossi e insenature verticali profonde ne lasciava intravedere il tracciato con discontinuità, fino all'orizzonte. Quando fermammo l'auto nella piazzola, avevamo già percorso molti chilometri nelle stesse condizioni, senza incontrare nessuno.
Procedevamo verso nord ovest, a giudicare dalla posizione del sole, ormai piuttosto basso di fronte a noi. La foresta di conifere, che la strada tagliava con una linea retta, appariva silenziosa, ma non cupa e minacciosa come ci era sembrata la Schwartzwald, prima che i fumi corrosivi della Ruhr la deturpassero.
Avevamo già abbandonato la regione dei laghi, ma eravamo ancora molto distanti dalla Lapponia; stavamo attraversando una terra di nessuno che appariva uguale a se stessa, senza alcuna connotazione che la rendesse degna di un nome memorabile e distintivo.
L'aria limpida e i colori, stemperati da una luce priva della drammatica violenza meridionale, creatrice di ombre profonde, scavate nel riverbero abbacinante di tutto il resto, contribuivano al mantenimento di un'atmosfera serena, a dispetto della selvatichezza del paesaggio: una immensa foresta di conifere, senza fine.
Mentre notavamo il silenzio e la innaturale assenza di tracce umane, di animali terrestri o di uccelli, a parte la strada vuota e ben tenuta, un coniglio selvatico si affacciò sul ciglio e, senza particolare circospezione o fretta, l'attraversò, fino a scomparire di nuovo, silenziosamente, nel bosco.
C'era qualcuno, allora.
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 03 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Appennino modenese nei pressi Zocca
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 02 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
Piscopo
Per non sapere né leggere né scrivere si buttò in politica, ma non fu una decisione semplice. Aveva un impero economico a cui badare e uno stuolo di schiavi affezionati che pendevano dalle sue labbra e vedevano il suo abbandono come l'oscurarsi del sole. Costernati si guardavano in faccia e tentavano di dissuaderlo dal grande passo: chi avrebbe mai potuto sostituirlo nel badare agli affari suoi, quando lui fosse stato assorbito dagli "affari di Stato"? Ma Piscopo non era uomo da tentennamenti, quando si sognava di fare una cosa non c'era verso di farlo ragionare. Tutta la sua carriera brillante si era fondata su intuizioni vincenti che sfuggivano ai più. Non c'era da stupirsi se, ancora una volta, gli altri "non ci arrivavano". Il suo successo era dovuto al tempismo, non solo ad intrallazzi, favori e loschi compromessi con politicanti compiacenti o corrotti, come sostenevano le malelingue. Era un uomo di fede e si sentiva un veggente, sostenuto dall'appoggio indiscriminato di una madre affettuosa e protettiva che lo adorava nel modo acritico che solo l'amore materno e un'ottusità adamantina possono elargire. A dispetto di fredde considerazioni antropometriche, si sentiva anche bello e sapeva parlare ai semplici, come tutti i grandi profeti. La sua cultura insondabile non oscurava mai l'immediatezza comunicativa che solo una genia malsana d'intellettuali inetti e prevenuti si ostinava a considerare imbecillità pura. In realtà, la paranoica ripetitività dei suoi slogan vuoti, era il miglior pane per i denti di quella vasta umanità che diffida di sottili distinguo e capziose variazioni sul tema mentre ama, piuttosto, convincersi di aver trovato un vero leader da seguire. Un vero uomo, libero e giusto, che dice sempre e solo la verità, ma "pane al pane" e proprio con le stesse parole che loro stessi avevano sempre pronunciato e, in qualche caso, perfino pensato, all'osteria o nei cocktail party. Quella sua sintassi malferma ed un lessico da emigrato cresciuto nei retrobottega confermavano agli occhi dei suoi ammiratori entusiasti la sua genuinità: "E' uno che dice quello che pensa e fa quello che dice". Cosa si poteva volere di più da un uomo, da uno come loro, che si era fatto da se e aveva accumulato un patrimonio enorme, lavorando sodo e facendo lavorare ancora più sodo migliaia di altri galantuomini al suo servizio. Tributatagli la loro fiducia, non erano così schizzinosi da revocarla per qualche crepa madornale, evidente anche per un cieco. "Fra il dire e il fare.." lo sa anche un bambino che c'è di mezzo il mare. Bastava che Lui, di tanto intanto, sbandierasse in televisione un lungo papiro illeggibile che elencava quattro spanne di promesse mantenute, perché si sentissero più tranquilli di prima. Non erano delle banderuole, loro, gli avevano tributato la loro piena fiducia perché se la meritava, e quando uno si merita qualche cosa, negargliela sarebbe una sbirreria. Guardare troppo per il sottile non era una loro debolezza: avevano i loro affari a cui badare e se anche lui faceva altrettanto, direttamente dalla posizione di governo, meglio, così, almeno, si sarebbe risparmiato di pagare una banda di politici avidi e infidi perché facessero male quello che lui era capace di fare bene da solo con l'aiuto dei suoi fidi giannizzeri. Quando fu chiaro a tutti che la sua calata sulla capitale aveva gli stessi scopi e maggior successo di tante altre che l'avevano preceduta nel corso dei secoli, anche i più dubbiosi fra i suoi collaboratori fedeli, ripresero a dormire sonni tranquilli: come promesso, il loro Capo non li aveva abbandonati; aveva semplicemente intuito che per governare un grande impero, prima o poi, bisogna mettersi in testa la corona. E bravo Piscopo, hai fatto centro un'altra volta! Senza tante storie, andando lui stesso al governo con la sua squadra, aveva eliminato in un colpo solo intermediari avidi e politicanti corrotti: l'anello debole della sua catena di potere che rischiava di mandarlo in malora. Meglio al governo che in galera.
Per non sapere né leggere né scrivere si buttò in politica, ma non fu una decisione semplice. Aveva un impero economico a cui badare e uno stuolo di schiavi affezionati che pendevano dalle sue labbra e vedevano il suo abbandono come l'oscurarsi del sole. Costernati si guardavano in faccia e tentavano di dissuaderlo dal grande passo: chi avrebbe mai potuto sostituirlo nel badare agli affari suoi, quando lui fosse stato assorbito dagli "affari di Stato"? Ma Piscopo non era uomo da tentennamenti, quando si sognava di fare una cosa non c'era verso di farlo ragionare. Tutta la sua carriera brillante si era fondata su intuizioni vincenti che sfuggivano ai più. Non c'era da stupirsi se, ancora una volta, gli altri "non ci arrivavano". Il suo successo era dovuto al tempismo, non solo ad intrallazzi, favori e loschi compromessi con politicanti compiacenti o corrotti, come sostenevano le malelingue. Era un uomo di fede e si sentiva un veggente, sostenuto dall'appoggio indiscriminato di una madre affettuosa e protettiva che lo adorava nel modo acritico che solo l'amore materno e un'ottusità adamantina possono elargire.
A dispetto di fredde considerazioni antropometriche, si sentiva anche bello e sapeva parlare ai semplici, come tutti i grandi profeti. La sua cultura insondabile non oscurava mai l'immediatezza comunicativa che solo una genia malsana d'intellettuali inetti e prevenuti si ostinava a considerare imbecillità pura. In realtà, la paranoica ripetitività dei suoi slogan vuoti, era il miglior pane per i denti di quella vasta umanità che diffida di sottili distinguo e capziose variazioni sul tema mentre ama, piuttosto, convincersi di aver trovato un vero leader da seguire. Un vero uomo, libero e giusto, che dice sempre e solo la verità, ma "pane al pane" e proprio con le stesse parole che loro stessi avevano sempre pronunciato e, in qualche caso, perfino pensato, all'osteria o nei cocktail party. Quella sua sintassi malferma ed un lessico da emigrato cresciuto nei retrobottega confermavano agli occhi dei suoi ammiratori entusiasti la sua genuinità: "E' uno che dice quello che pensa e fa quello che dice". Cosa si poteva volere di più da un uomo, da uno come loro, che si era fatto da se e aveva accumulato un patrimonio enorme, lavorando sodo e facendo lavorare ancora più sodo migliaia di altri galantuomini al suo servizio.
Tributatagli la loro fiducia, non erano così schizzinosi da revocarla per qualche crepa madornale, evidente anche per un cieco. "Fra il dire e il fare.." lo sa anche un bambino che c'è di mezzo il mare. Bastava che Lui, di tanto intanto, sbandierasse in televisione un lungo papiro illeggibile che elencava quattro spanne di promesse mantenute, perché si sentissero più tranquilli di prima. Non erano delle banderuole, loro, gli avevano tributato la loro piena fiducia perché se la meritava, e quando uno si merita qualche cosa, negargliela sarebbe una sbirreria.
Guardare troppo per il sottile non era una loro debolezza: avevano i loro affari a cui badare e se anche lui faceva altrettanto, direttamente dalla posizione di governo, meglio, così, almeno, si sarebbe risparmiato di pagare una banda di politici avidi e infidi perché facessero male quello che lui era capace di fare bene da solo con l'aiuto dei suoi fidi giannizzeri. Quando fu chiaro a tutti che la sua calata sulla capitale aveva gli stessi scopi e maggior successo di tante altre che l'avevano preceduta nel corso dei secoli, anche i più dubbiosi fra i suoi collaboratori fedeli, ripresero a dormire sonni tranquilli: come promesso, il loro Capo non li aveva abbandonati; aveva semplicemente intuito che per governare un grande impero, prima o poi, bisogna mettersi in testa la corona.
E bravo Piscopo, hai fatto centro un'altra volta!
Senza tante storie, andando lui stesso al governo con la sua squadra, aveva eliminato in un colpo solo intermediari avidi e politicanti corrotti: l'anello debole della sua catena di potere che rischiava di mandarlo in malora. Meglio al governo che in galera.
Nella foto il monumento a Marco Minghetti: un galantuomo ed uno statista d'altri tempi e di altra statura Bologna, piazza Minghetti
Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 01 febbraio 2004 Invia un commento all'autore "Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)
... hanno perso la testa.