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gio 27 novembre 2008  Il gorgo di Occhiobello

Il 15 novembre scorso, in un bel sabato di sole, dopo alcuni giorni di pioggia e di vento, siamo tornati sul Po ferrarese, dopo aver pranzato al "Ponte rosso" di San Giorgio di Piano, una simpatica trattoria bolognese senza fronzoli, dove si mangia bene secondo la tradizione.
Erano trascorsi esattamente cinquantasette anni da quel tragico 15 novembre 1951, quando il Po ruppe gli argini e allagò l'intero Polesine arrivando fino alle porte di Rovigo sulla sponda sinistra e allargandosi nel ferrarese sull'altra sponda.

L'incontrollata estrazione di metano nei precedenti decenni aveva contribuito, con l'abbassamento del suolo e degli argini (ma non del fiume), a moltiplicare gli effetti disastrosi della piena. Al cordoglio nazionale per i morti ed ai feriti, nelle prime ore, e alla commovente gara di solidarietà che percorse l'intero paese, seguì, solo più tardi, la consapevolezza dell'entità del disastro: una catastrofe che cambiò per sempre, non solo la vita delle migliaia di sfollati, ma l'intero equilibrio di un territorio vastissimo che non si è mai più ripreso del tutto. La patria delle nebbie si è spopolata per sempre e ha cambiato faccia. Io avevo nove anni allora, ma ricordo bene i bollettini degli inviati della RAI che si susseguivano ora dopo ora, nel difficile compito di descrivere la vastità dell'esondazione. Allora abitavamo a Roma; capannelli di persone si formavano per strada intorno ai pochi luoghi dove una radio accesa trasmetteva ai passanti in strada i bollettini. La televisione non c'era e neppure le radioline a transistor, che si diffusero solo alla fine del decennio, ma l'evento era così drammatico che tutti cercavano di seguirlo minuto per minuto, con gli scarsi mezzi d'informazione disponibili.

Gorgo sul Po

Gorgo di Occhiobello sul Po

Oggi, a più di mezzo secolo di distanza, in una bella giornata di "normale" piena novembrina, i gorghi che si formarono allora non sono altro che piacevoli specchi d'acqua limpida che rendono impraticabili i parchi commemorativi che ricordano l'alluvione del '51. Il gorgo di Occhiobello, vicino a Ferrara, ma sulla sponda veneta, è l'oggetto della presentazione che propongo ai lettori che desiderino guardarla. Clicca qui o sulla mia foto qui sopra per vederla. La musica che accompagna lo scorrere delle immagini è "Suzanne" di Leonard Cohen.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 27 novembre 2008   Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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mer 26 novembre 2008  Sopra la capra panca

  • ... ce l'hai anche tu con le panchine, o sei un pro-panca?
  • Parli di quelle dove "sopra la capra panca"?
  • "Sopra la panca la capra campa" vorrai dire
  • Bravo, proprio così. Mi sbaglio sempre perché non ho mai capito che senso abbia il tutto
  • Per questo, neanche io, ma prova a pensare ad un "barbone" al posto della capra e tutto diventa chiaro
  • Ah, ecco, hanno sostituito capra a barbone perché altrimenti lo scioglilingua non funzionerebbe
  • Principalmente...
  • ... e secondariamente?
  • Be' non starebbe tanto bene far sapere alla gente che stanno togliendo le panchine dalle citta per evitare che i barboni campino?
  • Giusto, invece a lasciare morire le capre per mancanza di panche non fa danno, dato che di capre in città non ce ne sono quasi più
  • Quasi? Perché hai visto qualche capra in giro qui da noi?
  • No, io no, non ci sono più nemmeno quelle tibetane ai giardini Margherita. Dicevo solo per non fare lo sbruffone con delle affermazioni assolute.
  • Giusto, non si sa mai. C'era in giro una tigre scappata da un circo, l'altro giorno
  • O una pantera?
  • Perché? ti sembrerebbe più normale di una tigre, una pantera sotto il portico dei Servi?

  • Ma? non ti so dire; vedo solo dei barboni e niente panche né fontanelle, adesso che mi ci fai pensare. Né tigri, né pantere, né capre, né panche, solo barboni
  • In mancanza di panche e con quest'aria che pela, sarebbe meglio se andassero tutti sotto un bel tendone da circo, possibilmente senza pantere né tigri
  • Chissà se quelli che hanno tolto le panche hanno fatto per incoraggiarli ad andare al caldo, poveretti. Avranno senz'altro preparato un bel tendone riscaldato, come dici tu
  • Di sicuro. Non posso pensare che siano così distratti da essersene dimenticati, potrebbero perfino essere scambiati ingiustamente per delle carogne
  • Hai ragione, dev'essere così, senz'altro. Ma a te i barboni sono simpatici?
  • No, neanche un po', ma c'è di peggio, molto di peggio e se la spassano da nababbi
  • Pensi ai banchieri e agli altri milordoni sfruttatori e affamatori grassi e lustri come papi?
  • Come hai fatto ad indovinare?
  • Per fortuna, principalmente.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 26 novembre 2008   Invia un commento all'autore
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lun 24 novembre 2008  Deltoide

  • ... lei dice: "Vedrà  che facciamo in un attimo..."
  • Lo ha detto per rassicurarti. E allora?
  • e aggiunge: "... è solo una piccola iniezione intramuscolare. Gliela faccio sul deltoide"
  • Ma tu lo sapevi che cosa è il deltoide?
  • Ma figurati, ho pensato che le intramuscolari si fanno sulle chiappe, da che mondo è mondo. . .
  • Giusto!
  • Ma ho pensato anche che il solo vaccino che mi hanno fatto in vita mia era sul braccio
  • Anche a me; ho ancora il segno. Quindi?
  • Quindi, vedendo che si era sistemata in pole position con la siringa in canna, in piedi al mio fianco, ho scommesso sul braccio
  • C'è un deltoide dentro al braccio?
  • Sembra di sì, io non vado oltre il bicipite, ma fra muscoli e muscoletti ce ne devono essere una miriade in zona

Deltoide

  • Ti ricordi come li bocciavano in anatomia, i nostri compagni di liceo che hanno fatto medicina?
  • D'altra parte, non potevo mica dirle: "Scusi tanto la mia ignoranza, ma i soli muscoli che conosco bene sono le vongole e le cozze"
  • Esagerato!
  • Ad ogni buon conto, le ho chiesto: " devo togliermi la maglia?"
  • Saggio, cosi almeno localizzavi la zona: o spalla o chiappa.
  • Infatti, quando mi ha risposto che era meglio che la togliessi, ho capito dove mi avrebbe forato, spanna più, spanna meno
  • Ti ha fatto male?
  • No, niente di niente, ma quando stavo per andarmene, con l'aria più premurosa del mondo, mi dice" Non vada via ora, professore. Bisogna che si trattenga ancora una mezz'oretta in sala d'aspetto, per vedere le sue reazioni
  • Hai capito? in cauda venenum. E che reazioni avresti dovuto avere, così in pubblico?
  • E' quello che le ho domandato anch'io. Lei, candida: "Nessuna, se non è allergico alle uova, come mi ha detto, ma per sicurezza, aspetti una ventina di minuti qui fuori; vedo che si è portato un libro. Che cosa sta leggendo, professore?"
  • Glielo ho fatto vedere; era "La camera azzurra"
  • Ah, Simenon... bello, mi è piaciuto, ma è un po' morbosetto, ti sembra?
  • Sì, a noi due piacciono di più "i maigret", vecchio stile.
  • Soprattutto, quelli anteguerra. Ma tu cosa hai fatto? Ti sei messo a schiumare dalla bocca?
  • Mi era venuta la tentazione di fare qualche stranezza, ma c'era una signora che aspettava anche lei il suo turno al deltoide...
  • Non dico che avresti dovuto rotolarti per terra, ma potevi almeno sbarrare un po' gli occhi...
  • Non ho ancora l'età , ma uno dei prossimi anni, non è detto che non mi cavi la soddisfazione
  • Bravo, altrimenti, che scopo avrebbe una stagionatura così lunga come la nostra? Anche il Barolo va stappato prima che diventi troppo vecchio.

 



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 24 novembre 2008   Invia un commento all'autore
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ven 14 novembre 2008  Cargo cardo sardo tardo

  • Cargo
  • cardo
  • sardo
  • tardo
  • Chi comincia?
  • Tu.
  • Nelle giornate di nebbia più fitta, quando ci si fidava più dei rumori e degli odori che degi occhi per trovare la strada, appariva improvvisamente come un fantasma. La caligine cancellava i segni più evidenti dell'abbandono, spegneva il rosso delle scaglie di ruggine, nascondeva i vetri rotti e i cumuli di rottami sgangherati su quello che un tempo era stato il ponte; restava solo una massa minacciosa da evitare con una decisa sterzata del manubrio, per evitare di volare nell'acqua bassa del porto, dove giaceva semiaffondata da secoli la carcassa del vecchio cargo, ormai senza nome.
  • Stando ai racconti di mio nonno, che per primo, me lo aveva mostrato nei nostri giri in bici al tramonto, quando il cane ci portava a spasso, seguendo piste olfattive misteriose che solo lui conosceva, era stato una gloriosa nave da carico che batteva rotte oceaniche fino alla Costa d'avorio: il posto più esotico che avessi mai sentito nominare. Avrei sempre voluto infrangere il divieto perentorio di abbordarlo per cercare all'interno della cabina di poppa una bussola, un sestante, una campana di bronzo, miracolosamente scampate alla rovina e ai saccheggi.
    Quando Bubu, ormai vecchio, non ce la faceva più a trascinarci fino al porto e si accontentava di stare accucciato tutto il tempo fuori dalla baracca dove il nonno teneva gli attrezzi dell'orto, anche io mi ero adattato alla nuova situazione stanziale. Verso sera, all'ora del nonno, passavo a salutarli, fingendo interesse per piselli, pomodori e carote. Una sola vicenda mi prendeva veramente: la crescita del cardo. Tutti gli anni il nonno allevava un cardo gigantesco che, a metà dicembre, doveva superarlo in altezza per essere poi trasportato trionfalmente in treno a Firenze, come regalo di Natale ad un suo amico e compagno di guerra con il quale aveva attraversato mezza Europa a piedi, per tornare a casa dalla prigionia in Polonia.
  • Il viaggio durato mesi, nei racconti romanzeschi che avevo sentito mille volte con imperscrutabili e improbabili varianti, era stato tragico per l'amico del nonno che ci aveva perduto la salute ed era stato costretto a cambiare radicalmente abitudini e vita. Da pastore sardo era diventato un restauratore di libri antichi. Trasferitosi a Firenze in casa di un fratello, emigrato a sua volta sul continente nel dopoguerra per sfuggire alla miseria, aveva finalmente trovato la fortuna nel modo più bizzarro. Quando nel novembre del '66 l'Arno aveva invaso e stravolto strade e palazzi di Firenze, la sua botteguccia di rilegatore era stata sommersa da richieste di restauro di preziosi volumi sconciati dall'acqua e dal fango della piena.

codice

  • Il magro reddito di un rilegatore di periferia era stato rapidamente dimenticato. Sommerso dalle richieste, nel tardo autunno, aveva ottenuto dai frati l'uso di un vasto loggiato arioso dove stendere ad asciugare i maestosi infolio, lavati dalla melma con l'aiuto di studenti volontari venuti da mezzo mondo e di tre garzoni locali, assunti con coraggio, sull'onda dell'entusiasmo solidale che si respirava in quei giorni a Firenze: irripetibile e sconosciuto in città fin dai tempi di Dante.
    Per immeritevole fortuna o per un talento insospettato, aveva raggiunto l'apice della gloria professionale quando aveva inventato un balsamo rigeneratore delle vecchie pergamene, a base di grasso di pecora e di altre sostanze tenute gelosamente segrete. La sua origine sarda non era stata estranea alla scelta, si disse.
  • Fine della storia?
  • Direi, le abbiamo usate tutte quattro e nell'ordine giusto. Adesso, dopo 'sto cargo sardo non vorrai mica mangiare un cardo magro?
  • Absit iniuria verbis! Piuttosto, cosa ci meritiamo, sangiovese o lambrusco?
  • Lambrusco, stasera e ci facciamo portare anche qualche crescentina calda, prosciutto e stracchino.
  • Amen.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 14 novembre 2008   Invia un commento all'autore
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gio 13 novembre 2008  A bizzeffe

  • A bizzeffe!
  • La butti sul quantitativo, oggi. Ti facevo più qualitativo, con questo bel sole autunnale.
  • Dici? Secondo me a bizzeffe ha anche un retrugusto qualitativo, come il sangiovese.
  • Ah, dici che se lo giro abbastanza a lungo nel bicchierone a palla salta fuori un profumo che mi era scappato al primo sorso?
  • Mah? Bisognerebbe provare, ma non è mica facile trovare il bicchiere adatto per delle parole..,
  • ... così obsolete.
  • Chissà se c'è una valle chiusa, di quelle scomode da raggiungere, dove i montanari ti sparano degli abizzeffe come niente fosse?
  • Hai notato anche tu? E nessuno ci fa caso, come fosse la cosa più normale del mondo. Che sia per la claustrofobia? Il sole tramonta presto, a tradimento, dietro i monti e...
  • ... tutti corrono a chiudersi in casa prima che venga buio e si mettono subito a mangiare la polenta davanti al focolare...
  • ... senza televisione.
  • Che sia per quello che parlano ancora così bene?
  • Di sicuro! Si sono salvati dagli elefanti di Annibale e dalle legioni romane, ma se avessero la televisione in casa ti saluto che parlerebbero così pulito.
  • E i libri? Quelli gli arrivano?
  • A dorso di mulo, però e solo stagionati. Roba buona.
  • Dei classici, solo dei classici. Non vorrai mica che carichino un povero disgraziato di mulo, con tutta la salita che ha da fare, con "Dove mi porta il cuore"?
  • E' una legge di natura come diceva Darwin: per aspera ad astra.
  • Chissà se parlava veramente latino come un libro stampato?
  • Sia come sia, doveva avere una pronuncia infame, ci puoi scommettere. Forse avrebbe fatto meglio ad accontentarsi del suo inglese.
  • Natura non facit saltus! Un inglese che parla latino... è contro natura. Avrebbe dovuto saperlo proprio lui per primo, ti sembra?
  • A bizzeffe.

 

Duomo di Modena

Capitello romanico del duomo di Modena



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 13 novembre 2008   Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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