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lun 29 novembre 2004  Tosse stizzosa? Sciroppati del cacao!

Una buona notizia per i patiti della cioccolata: oltre alle squisitezze ben note, contiene un ingrediente che si è rivelato un efficace calmante per la tosse, la teobromina.
Secondo una recente ricerca pubblicata sul FASEB Journal, un gruppo di studiosi ha scoperto che la teobromina, notoriamente presente nel cacao, sarebbe il 30% più efficace della codeina, come sedativo della tosse. Non solo, ma a differenza di quest'ultima, non provocherebbe effetti indesiderati, cosicché si potranno preparare sciroppi con dosaggi più alti e, quindi, più efficaci.
Insomma, quando disporremo di sciroppi alla teobromina, dormiremmo come angioletti anche quando la tosse perversa congiurerebbe per tenerci svegli, ed anche quelli che guidano o svolgono lavori che richiedono la massima prontezza potranno combattere la tosse, senza preoccuparsi della sonnolenza indotta dalla codeina.
Avevano ragione i Maya a considerare il cacao un cibo prezioso da regalare in occasioni speciali, da consumare durante riti religiosi e, perfino, da usare come merce di scambio per eccellenza, al posto del denaro. Quattro semi per una zucca; dieci per un coniglio; cento per uno schiavo.

Di recente sono state scoperte anche le virtù della cioccolata amara che fa bene al cuore perché aumenta il livello di sostanze antiossidanti. Insomma, cioccoladores de todo el mundo, dateci dentro allegramente con il vostro cibo preferito che chissà quali altri pregi nasconde.

A sinistra un frutto di cacao spaccato che mostra i semi al suo interno. A destra una tabella di valori che usa il seme di cacao come unità di misura.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 29 novembre 2004   Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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dom 28 novembre 2004  Margherita

Nella stagione di arance e clementine
quando in giardino il nespolo è fiorito
è nata una bella bambina
piccolina così, ma già Margherita.
Mentre la nebbia svaniva nel sole
sono arrivate da terre lontane
tutte e dodici le fate buone
trasportate da un vento burlone
che al loro passare suonava campane
cavava cappelli e arruffava mantelli.
Per augurarle buona fortuna,
le soffiarono un bacio sulla manina
troppo delicata per essere baciata.
"Bella e buona sarai, brava e molto fortunata
questo vogliamo che sia il tuo destino.
Ricordalo bene, non lo scordare
siamo noi le dodici fate che filano la sorte
di tutta la vita, fino alla morte."
Nel salutarla con inchini giocosi
svanirono nell'aria ad una ad una
lasciandosi dietro soltanto i sorrisi.

L'immagine originale, disegnata per l'occasione, è di Emilia



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 28 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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dom 21 novembre 2004  Ad hoc

L'autentico grimpeur non si smentisce mai,
neppure quando parcheggia la sua bici

 



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) dom 21 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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ven 19 novembre 2004  Bianco&nero

via dei Chiari Bologna via dei Chiari Bologna

  • T i piace il bianco&nero?
  • A me piacciono molto le ombre, i riflessi ...
  • ...anche a me, moltissimo.
  • Quindi non stai proponendomi un mondo senza sfumature, oltreché senza colori? Un mondo di buoni senza macchia e di cattivi senza pietà.
  • Ho capito dove mi vuoi portare. Non avevo in mente niente del genere. Intendevo parlare di valori estetici non etici, se proprio vogliamo strafare, ma io prferirei volare più basso, rasoterra, diciamo.
  • Allora, parli di disegni a matita, a carboncino, d'incisioni...
  • ...e di foto.
  • E di foto, naturalmente.
  • Soprattutto di foto. Non so se l'argomento t'interessi, ma è in corso una rivoluzione in questo settore che mi ha coinvolto moltissimo.
  • Parli delle macchinette digitali?
  • Macchinette, dici? Mi sembra di capire che tu, invece, sia rimasto piuttosto estraneo all'argomento, che non te ne sei interessato, insomma.
  • Infatti non ne so niente. La sola cosa che mi ha colpito è lo spazio crescente, ormai invadente, che la pubblicità delle fotocamere digitali occupa sugli opuscoli che mi ritrovo dentro alla buchetta della posta. Io guardo solo le figurine, come un analfabeta, ma così a spanne, mi sembra che stia diventando un mercato da grandi numeri.
  • Sì, anche l'aspetto brutalmente quantitavo è sorprendente, a prima vista, ma andando più a fondo, si scopre che si tratta di gioiellini che si evolvono alla velocità dei computer: un fenomeno stupefacente che merita tutta l'attenzione che comincia a suscitare anche nel grande pubblico: il più occasionale, distratto e incompetente.
  • Addirittura, non ne avevo idea, pensavo si trattasse di giocattolini, dall'aspetto molto attraente, a volte. Non sembrano neppure macchine fotografiche; ce ne sono di quelle che assomigliano ad un portasigarette d'argento, anni '30. Invece sono delle belve tecnologiche mascherate, mi dici. Che cos'hanno in comune con i computer?
  • Tutto, fuorché l'obiettivo.A dispetto delle dimensioni miniaturizzate, sono dei veri computer, ma specializzati nel catturare e memorizzare immagini, anziché informazioni testuali o sonore. Rispetto ad un PC sono meno versatili, naturalmente, ma il loro compito lo svolgono in modo brillante.
  • Allora, tutto accade nel misterioso silenzio degli imperscutabile meandri dei microchip, nascosti sotto la pelle d'argento. E la magia del blow up in camera oscura, dov'è finita? Non che io m'intendessi neppure di quella.
  • Be' io sì, invece, la fotografia tradizionale è stata la mia passione per vent'anni e non ti sto a raccontare quante notti ho passato in camera oscura nella penombra della luce giallo-verde, annusando il profumo dell'acido acetico che sovrastava quello dello sviluppo e del fissaggio, mentre le immagini affioravano lentamente in superficie, abbandonando con riluttanza il loro stato latente. Un'emozione autentica che si ripeteva ogni volta.
  • Ti sarà costato caro questa strappo con la tua storia giovanile di cui si avverte ancora la nostalgia, se interpreto bene il tono delle tue parole; sembra che tu parli di un amore della tua gioventù finito per sempre.
  • E' così, ma i nuovi strumenti sono così potenti, duttili, ricchi di possibilità quasi insondabili che, obiettivamente, non possono lasciare sopravvivere rimpianti.
  • Perché, scattare una foto digitale è così diverso dal solito?
  • No, all'apparenza non è cambiato quasi nulla. Ci sono sofisticatissimi sistemi di messa a fuoco e di esposizione automatica che ne permettono un uso del tutto inconsapevole a chi si affida totalmente a loro, concentrandosi solo sulla scelta dell'inquadratura.
  • Andrebbero bene per me, ma gente come te si adatta ad una condizione così elementare e succube delle scelte dello strumento?.
  • Molto volentieri, perlopiù, perché il risultato è quasi sempre molto buono, ma restano anche tutte le possibilità di agire manualmente. Si può anche sbagliare in pieno, se ci si sforza abbastanza.
  • Capisco: la libertà d'errore è salva, questo mi tranquillizza. Mi fanno paura i sistemi automatici infallibili.
  • Non c'è pericolo, stai tranquillo, anche gli automatismi più sofisticati s'ingannano in condizioni critiche, ma la parte più stupefacente e divertente, a mio parere, resta, come un tempo, quella successiva.
  • Non avevo capito nulla, allora. Mi capita spesso; pensavo che la camera oscura dei tuoi ricordi nostalgici fosse sparita. Che cosa si usa per estrarre e stampare le immagine nascoste nella memoria della fotocamera, a proposito? Una normale stampante collegata con un cavo alla macchinetta... scusa volevo dire al gioellino?
  • Sì, per chi vuole affidarsi mani e piedi agli automatismi semplificatori, ci sono piccole stampanti a colori che ti sparano fuori delle belle cartoline lucide senza richiedere nessuna abilità e non richiedono neppure l'uso di un computer. Ma così ci si perde il meglio.
  • Chi invece vuole spassarsela al massimo, come deve procedere? Conoscendoti, tu devi essere uno di quei sibariti.
  • Infatti. Lo spasso maggiore consiste nella elaborazione delle immagini digitali, in tempi successivi alla ripresa.
  • Ci vuole un computer per farlo, immagino.
  • Sì, meglio se è abbastanza veloce e capiente. Corredato da un software ad hoc è il computer la nuova camera oscura, ma mille volte più versatile...
  • ... e più facile, immagino.
  • Questo no, a meno che non ci si accontenti di poche correzioni semiautomatiche. Padroneggiare a fondo un programma come Photoshop, l'applicazione regina in questo campo, richiede molto tempo, studio, esperienza e pazienza. Poi, come sempre, conta l'abilità personale. Non è come suonare i violino, ma insomma....
  • Caro il mio violinsta, adesso capisco dove passi le tue serate. Una volta mi piacerebbe vederti "suonare" la tua camera oscura digitale, me ne hai fatto venire voglia.
  • Quando vuoi, saremo confortevolmente seduti in poltroncina con le luci accese e un buon disco come sottofondo...
  • Un DVD dell'ultima generazione, immagino, di meno non potresti accettare.
  • No, anche un vinile vecchio stile, se preferisci. Quello che da ragazzi chiamavamo trentatré giri. Io non me ne intendo abbastanza, ma gl'intenditori sostengono...
  • Lasciamo stare, se non ti dispiace. Per oggi ho immagazzinato abbastanza notizie da scordare prontamente. Non vorrei sovraccaricare la mia amnesia.

Le immagini, drasticamente compresse e rimpicciolite, sono la rielaborazione con Photoshop di una mia foto a colori di via dei Chiari, a Bologna



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) ven 19 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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gio 18 novembre 2004  In proporzione

Della moltiplicazione dei pani e dei pesci era stato informato da bambino, anche se la vicenda gli aveva lasciato qualche dubbio, all'epoca, ma quando vide che la sua vecchia teiera, sulla quale aveva fermato lungamente lo sguardo soprappensiero, si era gonfiata, credette di avere le traveggole e cercò di convincersi che era sempre stata di quella dimensione. Ubriaco non era, dopo due sole tazze di te al latte e qualche frollino rigato. Neanche i più fantastici miracolatori del West si erano mai vantati di riuscire a trasformare il te in whisky, nonostante fossero identici da vedere in un bicchiere. Per quanto ne sapeva, al massimo si poteva far pagare per whisky il te bevuto dalle entreneuse nei night di terz'ordine, se il cliente che sganciava i dollari era un autentico credulone, possibilmente ubriaco di whisky vero. Un fatto era certo: era sobrio come un pozzo.

Così, a scanso di equivoci, lasciò la teiera sul tavolo, si accese la pipa e se ne andò a fare una passeggiata con il cane, contento come una pasqua del giretto fuori ordinanza, a metà del pomeriggio. Qundo tornò il sole era già tramontato e la casa era rimasta sola e al buio. Non gli piaceva trovarla così addormentata al suo rientro; preferiva trovare una luce accesa che gli desse il benvenuto. Cambiò l'acqua nella ciotola del cane che era assetato, gli diede qualche bocconcino e una strapazzata affettuosa e decise che era ora di cena anche per lui. Non aveva bisogno di guardare la pendola per saperlo. Viveva da solo con il cane, persona gentile e dalle abitudini informali, e i suoi orari erano molto elastici: mangiava quando ne aveva voglia, ma apparecchiava per bene come se fosse a palazzo Braschi, diceva lui, anche se da qualche anno, vestiva in modo molto casual, qualcuno avrebbe potuto dire come un barbone.

Prima di stendere la tovaglia fu necessario sgomberare la tavola. Ripose il vaso ermetico dei biscotti, il bicchiere di cristallo tagliato con la marmellata, la zuccheriera d'argento, afferrò il bricco del latte e la tazza sporca, uno per mano, li lavò, li asciugò e li ripose nella credenza, come sempre. Aveva la fisima dell'ordine, che nella sua visione del mondo, richiedeva che i muri fossero liberi da quadri e le superfici orizzontali dei mobili completamente sgombre, in particolare il ripiano scanalato del lavello doveva sempre essere libero e asciutto, al termine delle incombenze di rigovernatura.

Quando tornò in camera da pranzo, la vide troneggiare sola in mezzo al tavolo. Non era mai stata così... imponente. Non c'è dubbio: era cresciuta. Non si era deformata, era semplicemente più grossa, quasi maestosa: una signora teiera. Per svuotarla e riporla dovette usare entrambe le mani: era anche pesante. Stranamente questo fatto lo riconfortò:aveva mantenuto la giusta proporzione. Nei giorni successivi non accadde nulla di strano, semplicemente decise che non aveva più voglia del te pomeridiano. La domenica successiva andò in piazza con il cane. Non era il tipo che si sarebbe vestito per la festa, anche se lo avesse saputo, ma si accorse che c'era un'animazione insolita: bandiere, ragazzi, il suono di una banda ancora lontana, invece dei soliti vecchi che la popolavano sempre, se il tempo non era troppo scoraggiante. Era festa, insomma, non la solita domenica feriale. Ci mise poco a rendersi conto che doveva essere il primo Maggio. Era arrivato, ancora una volta, così all'improvviso. Si guardò in giro: sembravano tutti forestieri. A parte il suo cagnolino, non c'era neanche un cristiano conosciuto.
Guardò in alto, sopra le rondini e si mise a fissare la cupola che spuntava dietro i palazzi. Mentre la osservava, dapprima distrattamente poi con sempre maggior concentrazione, gli apparve più monumentale e più splendente del solito, una meraviglia degna di Brunelleschi. Anche i vetri della lucerna sembravano appena lustrati, luccicavano al sole, ci si sarebbe potuti specchiare. Guardò meglio e vi scorse la sua faccia: la solita faccia di tutti i giorni, ma la gente, invece, sembrava non accorgersi di tanto splendore. Guardavano a terra, apparivano lontani, piccoli e insignificanti. Restavano immobili sul pavimento o si muovevano a scatti, senza senso, come scarafaggi notturni, spaventati dall'accensione improvvisa di una luce. Per non calpestarli, rimase immobile, mentre la cupola continuava a crescere sotto il suo sguardo. Ma le proporzioni restavano corrette e altrettanto conforme sarebbe stato il peso, se avesse potuto misurarlo. Ne era certo.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 18 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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mer 17 novembre 2004  Una supposta azzardosa

  • Stavi per fare una supposta azzardosa. Attento a te!
  • Una supposizione azzardosa, vorrai dire.
  • Ci sei cascato. Lo sapevo che sarebbe bastato un semplice tranello linguistico per farti confessare.
  • Confessare cosa? Ho solo corretto una tua battuta grossolana.
  • E adesso mi diventi anche aggressivo. C'era da aspettarselo.
  • Ma di cosa stai parlando? Quale sarebbe la "supposta" che stavo per fare?
  • Troppo facile, caro mio. Tocca a te dimostrare che non stavi per aggredirmi, vecchia volpe. Non basta negare, dimostrare lo devi con i fatti.
  • Come potrei fare a dimostrare con i fatti una supposizione astratta che non mi sono neppure sognato di fare. Tu piuttosto, cosa fai con quel randello in mano?
  • E' una normale mazza da baseball che mi sono portato dietro per sicurezza.
  • E che intenzioni avresti adesso?
  • Di scaricartela sul groppone prima che tu mi salti addosso. Uno come te fa presto a passare dalle intenzioni ai fatti. Vi conosco, voialtri. Applico semplicemente una teoria fresca, fresca che tu non conosci ancora: la guerra preventiva.
  • Ma quale fresca, fresca. Lupus et agnus, te lo sei scordato?
  • Non cercare di confondere le acque con rifrimenti storici remoti e fuori luogo.
  • Storici? E' la favola di Fedro che...
  • ... e io cos'ho detto? Favole, fole, tutte balle, insomma, per incantare i gonzi, ma io non ci casco, sono stufo delle tue minacce, beccati questo, assassino depravato. Finchè in giro c'è gente come te, nessuno può sentirsi sicuro, nemmeno a casa propria.

 



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 17 novembre 2004   Invia un commento all'autore
"Hac re videre nostra mala non possumus; // alii simul delinquunt, censores sumus." (*)

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lun 15 novembre 2004  Senzanome

Chi pretende la simmetria e l'unformità farà meglio a guardare per terra, se gli capiterà di passare in via Senzanome, una delle strette strade del centro storico di Bologna. Qui l'individualismo più spensierato e l'esigenze abitatative personali hanno trovato il più ampio sfogo per consolidarsi, immutate nei secoli, nell'anarchia più disinvolta.
Se non passeranno le ruspe demolitrici di un novello Napoleone che sfondi, smantelli e cancelli secoli di sedimentazioni urbanistiche, aprendo larghe strade diritte per il passaggio di truppe e cannoni, c'è da pensare che porte e finestre di tutte le misure e di tutti i colori continueranno a coesistere allegramente l'una accanto all'altra, come fanno da sempre.

Anche il nome della strada che ospita tanta stravaganza e spontaneità architettonica è adeguato: via Senzanome, non è certo banale né comune.
E' abbastanza noto ai bolognesi che a determinare il nome fu una frettolosa riqualificazione toponomastica, in nome della decenza più bacchettona e priva d'inventiva, da parte di un funzionario comunale in occasione della visita pastorale dell'arcivesco alla contrada. I popolani che l'abitavano l'avevano sempre chiamata via Sfregatette, per sottolinearne la larghezza angusta che costringeva i passanti a sfiorarsi, non senza qualche gustoso vantaggio.
Per qualche imperscrutabile ragione, passata la festa, nessuno ha poi provveduto ad attribuirle un nome meno stravagante e provvisorio o a ripristinare il vecchio toponimo popolare, che invece, generazione dopo generazione, ha finito col soccombere alla indiscutibile ufficialità del nome inciso sulla tabella, per sopravvivere solo nelle leggende urbane.
Dell'altrettanto stravagante toponimo "Centotrecento" attribuito ad un'altra strada popolare di Bologna, parleremo in altra occasione.

"Ma che burloni!" direbbe Gilberto Govi.

Clicca sulle due immagini piccole di via Senzanome per ingrandirle

 



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 15 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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gio 11 novembre 2004  Se c'avessi un bel giardino

Se c'avessi un bel giardino
pieno d'erbacce di tutti i colori
vi lascerei crescere i fiori:
ma quelli spontanei, portati dal vento
o dal passaggio di qualche uccellino.
Vorrei anche un melo, ma piccolino
un ciliegio, un albicocco e un gelsomino
Sul tronco storto di un fico nostrano
vorrei una vite d'uva da vino.
Non vorrei rose né siepi potate,
non pomodori, carote o insalate,
ma se un calicantus dal profumo delicato
mettesse radici in un angolino
sarei davvero il più fortunato
e per non perdermi la festa
anche d'inverno aprirei le finestra.
Ma un bel giardino io non ce l'ho,
solo una stanza, tre sedie e un comò.
Così, quando il freddo fa battere i denti
chiudo i vetri, accendo il camino
e guardo l'edera nel suo cestino
abbandonarsi al suo triste destino,
sognando un esotico maestrale
che la rapisca dal mio davanzale.


Nell'immagine due finestrine in via Frassinago, nella Bologna minore che i turisti ignorano



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 11 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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lun 08 novembre 2004  Elogio del "carriolino"

Carrozze e carri sono diventati ormai cimeli in un'epoca in cui limousine, berline e autocarri s'incaricano di trasportare uomini, animali e merci, spinti da poderosi motori da decine o centinaia di cavalli-vapore. La mancanza di uomini-vapore ha invece conferito maggiore longevità a carretti e carriole che, nel loro modesto ambito, continuano a resistere. In oriente, persiste ancora il risciò che è comparso, recentemente e fuori da ogni tradizione, anche a Torino ed in qualche altra città italiana, in versioni moderne con cambio e pedalata potenziata elettricamente.

La carriola è di gran lunga il mezzo più originale con la sua spiccata assimmetria, conferitale dalla presenza di una sola piccola ruota. Meno originale, ma più facile da manovrare e più capace è il carretto a mano, fonito di due ruote a raggi, di solito della dimensione e foggia di quelle da bicicletta. A differenza della carriola, ancora largamente presente nei cantieri, è diventato una mezza rarità e chi lo possiede è spesso infastidito dalla richiesta di prestito da parte di vicini che, all'occasione, ne riscoprono la rustica utilità per brevi trasporti di masserizie e di oggetti anche ingombranti, ma poco pesanti.
Chiunque è in grado di manovrarlo anche in logge, portici e stretti passaggi, senza sottoporsi ad un grande sforzo muscolare e la sua manutenzione ed i costi di esercizio sono veramente irrilevanti.
Questi sono i pro, il solo contro è il suo ingombro: non si ripiega e non si smonta, neppure laboriosamente. Sia durante lo svolgimento delle sue preziose funzioni, sia durante i presumibilmente lunghi periodi di sosta, occupa cinque o sei metri quadrati: un rimessaggio oneroso in una città affollata di uomini e soffocata dalle auto. Così finisce con l'essere abbandonato alla pioggia finché la ruggine non se lo porterà via, lentamente, ma inesorabilmente.
Chi non ha mai posseduto un "carriolino", come si dice dalle mie parti, non sa che cosa si è perso.

Nell'immagine un carriolino abbandonato sotto un portichetto di via Mirasole, a Bologna



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) lun 08 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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  • Vado e torno.
  • Bada che l'ha detto anche Giulio Cesare, poi s'è beccato una coltellata nella pancia.
  • Sì, ma adesso hanno abolito le idi di marzo.
  • Oramai non c'è più festa che resita. Vogliono abolire anche il sette novembre in Russia.
  • Troppo freddo. Le feste andrebbero celebrate in posti caldi, ti sembra?
  • E se vengono bene, vanno ripetute.
  • Anche il Natale?
  • Quello no, non mi piace, ma il primo maggio si potrebbe farlo anche due o tre volte all'anno.
  • Perché, ti disturbano le feste religiose?
  • No, no, a me no. Se ti dico che lo farei anche tre volte all'anno.
  • Ma il primo maggio non è mica religioso.
  • Infatti, anche secondo me, poi danno le primule alle mamme. E' gentile, più che religioso.
  • Bello. Sono mimose, però. Mi è sempre piaciuto il loro colore, bello giallo, ma preferisco il profumo viola del glicine...
  • ...e quello bianco del gelsomino, ma quello dei gigli, invece, mi da fastidio, anche se è proprio bianco: mi puzza troppo di cimitero.
  • Eh, caro mio... Per fare un albero ci vuole un fiore, c'è anche una canzone.
  • La ricordo. Bellina. E' tutta una tiritera, come quell'altra degli elefanti appesi a un filo di ragnatela
  • Sai che non ho mai capito perchè ai bambini insegnino tante stranezze. Dev'essere una questione di psicologia.
  • Quella sì che è una scienza coi baffi. Bisognerbbe insegnarla a tutti, come le tabelline, che però restano sempre il massimo.
  • L'hai detto, sono intramontabili. Quando uno sa quelle è a posto dovunque vada, perché le moltiplicazioni sono uguali in tutto il modo.
  • Verissimo: tutto il mondo è paese. C'è chi mangia con i bacchetti, chi con il cucchiaio, chi con le mani, scusa la parola...
  • ... non ti devi vergognare: sono un dono di dio, come gli uccellini, il mare, il cielo...
  • Sei proprio un poeta. Ti vengono così, a te. Un altro dovrebbe strologare giorno e notte.
  • Sei gentile, ma ti giuro che quando mi passano per la testa questi pensieri, io non ci penso neanche.
  • E io cosa ho detto? Sei un poeta nato e sputato, nel senso buono, si capisce.

Nell'immagine, una festosa celebrazione del Primo Maggio in piazza Maggiore a Bologna



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gio 04 novembre 2004  Carambola!

 

Non sapevo che la carambola ( Averrhoa carambola ) fosse anche un frutto subtropicale noto nei paesi anglosassoni come starfruit per la forma di stella della sua sezione che la rende particolarmente adatta per guarnizioni spettacolari su esotiche crostate di frutta.
E' un albero di otto~dieci metri a lento accrescimento, con una chioma fitta e ramificata che produce copiosi frutti gialli; soffre il freddo e i venti molto caldi e secchi. Insomma è meglio non piantarla nei nostri giardini che soffrono temperature invernali abbondantemente sotto lo zero, ma cresce bene a Ceylon, nelle isole Molucche, in Malesia e in zone climatiche simili. Se appena appena resistesse, sono certo che ne avrei ammirato larghi appezzamenti durante le mie scorribande nelle colline faentine che hanno già conosciuto l' apoteosi del kiwi, originario della Cina (nota con il nome yang-tao) e dei cachi, anch'essi originari della Cina del nord e del Giappone.

Quando eravamo ragazzi, il termine carambola indicava un popolare gioco al biliardo a stecche, da giocare con tre palle, se ricordo bene. I giornali lo usavano anche in senso metaforico, per indicare un movimento convulso e catastrofico di auto coinvolte in un incidente stradale: "La fitta nebbia ha provocato una carambola di auto che hanno ostruito per ore la corsia Nord...", ma il frutto esotico non era ancora sbarcato neppure nei più sofisticati banchi di frutta. Non l'aveva neppure "Cartier", così nominato per i prezzi popolari della sua frutta e verdura.

Ricordo invece, quando all'uscita da scuola, stanchi e scorbacchiati per una versione impossibile di greco, ci ritrovavamo davanti "Beppe", un compagno di lungo corso che è stato a scuola almeno un anno con tutti liceali bolognesi di una generazione, prima di comparire inopinatamente con il cappello da "fagiolo", senza passare prosaicamente per la maturità e l'altrettanto inevitabile anno da matricola.

Era un mago della carambola e della goriziana, alle quali dedicava devotamente mattine intere, senza perdere tempo a scuola. Il suo spasso maggiore, tuttavia, consisteva nell'aspettarci, puntuale, all'uscita delle lezioni per squadernarci sul muso un ventaglio di banconote da mille che aveva appena vinto all'Accademia del biliardo. Al gesto di sberleffo, per lo più aggiungeva un signorile: "Cretini, guarda qui cosa ho vinto stamattina!"

 



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) gio 04 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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mer 03 novembre 2004  Nature morte

 

Oggi solo due nature morte di Fernando Botero: un'austera colazione da consumare appena svegli, durante la lettura del giornale del mattino, secondo il costume latino e una sostanziosa merenda, per combattere la debolezza a metà del pomeriggio.
Questi dipinti sono sicuramente meno caratteristici di quelli con figure umane, ma offrono un panorama interessante sull'alimentazione che bisogna seguire per diventare belli cicciotti e rubicondi e raggiungere, così, la forma che rende uomini e donne degni di essere ritratti da parte di Botero.

Se un caffè fumante "all'americana", da bere a litri, una tazzona dopo l'altra, e un'arancia succosa possono bastare al risveglio, per la merenda, sullo stesso tavolino semiapparecchiato, bisognerà mettere, oltre all'immancabile frutta fresca (limone, arancia, mapo, ciliege e cocomero), una ciotola di pere sciroppate e, per finire in bellezza, savoiardi glassati, una mousse turgidissima e una torta di cioccolata riccamente glassata.
Resta il mistero della zuppiera. Sul suo contenuto non trapela alcun indizio, ma la sua forma pingue fino a scoppiare ci rassicura: non potrà certo contenere un anemico, insensato brodino.

E la chitarra? Ci devo pensare.



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mer 03 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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mar 02 novembre 2004  Malinconia

Non ci pensare, cosa vuoi che sia
Hai passato gli ...anta
e il tempo scappa via?
Se li metti in fila
e li stai a contare
ogni giorno che passa
ti fa tribolare.
Sei in salute e bella che fai voglia
e quando parli ti stanno ad ascoltare.
Hai figli e nipoti che ti vogliono bene
una casa grande e un marito affezionato
da dove sbucano tutte le tue pene?
Dormi la notte e digerisci sassi
e il dottore? non sai neanche chi sia
In casa fai tutto quello che ti pare
e quando passi per strada si fermano a guardare
Quando ti salta adosso 'sta malinconia,
non te la prendere, lascia che ti passi
fa una piroetta, mangia una torta,
bevi un bicchiere e ridi in allegria
Ma bada bene, questa non è una baggianata mia
è una ricetta di grido a cinque stelle
l'ho letta sul libro di psicologia
fra la torta di riso e le ciambelle

 

L'immagine è di Fernando Botero, com'è facile riconoscere



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 02 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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"Dopo il matrimonio di V., la vendiamo. E' inutile lasciarla intristire al sole e alla pioggia, coperta di foglie e aghi di pino". Questo era stato il fiero proposito, ma in realtà è passato un altro anno e mezzo, prima che l'evento malinconico avvenisse. Venerdì scorso, però, abbiamo venduto la Jaguar con lo spirito di chi compie un dovere sgradito che non può essere ultreriormente rimandato. E' dispiaciuto a tutti, perfino ad AM che, per misteriose ragioni, non hai mai voluto guidarla, benché fosse un autentico spasso.
Era bellissima, confortevole, silenziosa, veramente principesca, ma ormai la usavamo pochissimo. Da un paio d'anni, io ho smesso di girare per l'Italia come una trottola e, qui in città vado esclusivamente a piedi o in moto o in bici. Per i nostri giri&giretti, in coppia o in formazione completa, usiamo la monovolume diesel che funziona benissimo e non consuma un accidente, quindi... addio bella principessa, sei rimasta nel nostro cuore.

 



Pubblicato da Alessandro C. Candeli (@lec) mar 02 novembre 2004   Invia un commento all'autore
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lun 01 novembre 2004  La vida es sueño

  • ''La vida es sueño''
  • "¿Qué es la vida? Una ilusión...
  • ... una sombra, una ficción,
    y el mayor bien es pequeño:
    que toda la vida es sueño,
    y los sueños, sueños son.
    "
  • Ehi, Caldoron, versi alati, stamattina. Cosa ti prende?
  • Niente, mi son svegliato così. Mi si devono essere appiccicati durante il sonno. In sogno, forse.
  • Sogni in ispagnolo, adesso?
  • Magari, mi piace moltissimo lo spagnolo: esotico e famigliare nello stesso tempo, per non parlare delle spagnole che lo parlano a mitraglia, come niente fosse.
  • A me piacerebbe sognare in una lingua che non capisco neanche io, ma che padroneggio come un poeta, durante il sogno. Magari una lingua perduta, antichissima.
  • Bellissimo! Potresti sognare in sanscrito: la madre di tutte le lingue indoeuropee.
  • Anche le figure dovrebbero essere all'altezza, però.
  • Naturalmente. Ci vorresti anche gli elefanti e le tigri, o animali ancora più esotici, magari scomparsi?
  • Sì, tutto e anche maliose indiane e fiumi maestosi e montagne innevate inattingibili, sullo sfondo di risaie verdeggianti
  • E che avventure ti capiterebbero? Ti piacerebbe fare il profeta, ascoltato e riverito? Sarebbe un'occasione unica, ti pare?
  • Il profeta dici? E mi ascolterebbero, assorti e rispettosi, quando predicessi loro un mondo migliore di giustizia e benessere per tutti.
  • A patto che tu non lo preveda in tempi troppo vicini, altrimenti scoprirebbero che sogni
  • Ma non stavo, appunto, sognando?
  • Sì, ma questo lo sapevamo solo noi due.
  • Fortuna che non ho capito una parola delle mie profezie
  • Ma il suono della tue parole era bellissimo, lasciatelo dire da un vecchio amico sincero; sembravi un libro stampato.
  • In devanagari, l'alfabeto divino, immagino.
  • ...toda la vida es sueño, y los sueños, sueños son..

In alto," Las visiones de Quijote" di Octavio Ocampo
In basso: "Il pensatore di Escher osservato dal terapista di Magritte" di Jos de Mey



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