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L'appartamento di Roland e Val

      Come la London Library costituisce un'importante eccezione rispetto alle biblioteche, così il monolocale dove vivono insieme Roland e Val non condivide completamente le caratteristiche delle altre abitazioni. E' infatti un luogo  provvisorio la cui immagine e ruolo variano parallelamente all'evolversi del rapporto che Roland e Val instaurano con la casa. Quest'appartamento quindi non è assimilabile alle altre "case" del racconto, luoghi sicuri, di identificazione femminile; la frase seguente mostra infatti come nemmeno Val ci si senta veramene a 'casa':(Nota) "Val lo lasciò la prima volta da quando abitavano insieme, e se ne andò per un breve periodo a 'casa'. Casa sua era Croydon, dove viveva in un alloggio popolare con la madre divorziata, a spese dell'assistenza sociale".  Inoltre è un luogo abitato contemporneamente da un uomo e una donna che ne sono ugualmente responsabili, nonostante sia Val a pagare l'affitto. Questo lo differenzia dall'altra casa abitata da una coppia - la casa degli Ash -, che viene curata di fatto dalla sola Ellen. Da queste annotazioni si deduce come il rapporto che coloro che lo abitano hanno nei confronti di quest'appartamento implichi , rispetto alle altre abitazioni prese in considerazione, una maggiore libertà di movimento, condizione che sarà loro indispensabile per crescer verso l'autonomia e la creatività.

      Malgrado questa maggiore libertà, come le altre abitazioni di Possession, l'appartamento presenta anche  aspetti oppressivi: la puzza di gatto, l'ubicazione sotterranea, la presenza incombente dei ritratti di Ash, la chiusura verso il giardino fiorito sono i più evidenti. Queste caratterisiche, però, non si ripresentano sempre uguali nel corso del romanzo, e anzi i cambiamenti che le riguardano costituiscono il segnale fondamentale dell'evoluzione dei  due personaggi che lo abitano.

     L'atteggiamento che Roland e Val hanno nei confronti dei ritratti di Randolph Henry Ash, per esempio, è particolarmente indicativo del grado di autonomia che hanno raggiunto. Val da subito si dimostra scettica nei confronti di un tipo di studio così circoscritto e ossessivo quale quello che Roland fa del poeta Ash; di conseguenza guarda ai ritratti con ostilità, come racconta il narratore:

"Val had banished these to the dark of the hall. She said she did not want him staring at her, she wanted a bit of her life for herself, without having to share it with Randolph Ash" (P.16)

("Val li aveva relegati nel buio dell'ingresso. Diceva che non voleva essere fissata da lui, che voleva un po' della propria vita per sè, senza doverla dividere con Randolph Henry Ash") (Poss., p.19)

     L'atteggiamento di Roland è invece, almeno inizialmente, di attenzione e rispetto quasi Ash assumesse per lui il ruolo di figura tutelare. Ai ritratti di Ash viene assegnato un ruolo dominante; all'inizio del romanzo per ben due pagine, infatti, ce ne vengono forniti i dettagli: viene descritta la foto della maschera mortuaria di Ash, e soprattutto i particolari dei due diversi ritratti che Manet e Watts hanno fatto dello scrittore. Ash, così, diventa una presenza incombente, benché frammentata nelle diverse immagini di lui fornite da pittori diversi.

"Manet's Ash was dark, powerful, with deepest eyes under a strong brow, a vigorous beard and a look of confident private amusement. He looked watchful and intelligent (...) In front of him on his desk were disposed various objects, and elegant and masterly still life to complement the strong head and the ambivalent natural growths."

"The portrait by Watts was mistier and less authoritative (...) showed an older and more ethereal poet, his head rising, as is common with Watts's portraits, from a vague dark column of a body into a spiritual light. The important features of this image were the eyes, which were large and gleaming, and the beard, a riverful of silvers and creams, (...) the apparent source of light." (P.16-7)

("L'Ash di Manet era tenebroso, possente, con occhi infossati sotto una fronte prominente, barba rigogliosa e sguardo di fiducioso divertimento interiore. Aveva un'espressione vigile e intelligente (...) Di fronte a lui sulla scrivania erano disposti vari oggetti, elegante e magistrale natura morta a complemento della testa forte e dell'ambivalente rigoglio vegetale.")

("Il ritratto di Watt era più nebuloso e meno autorevole.. mostrava un poeta più anziano ed etereo, con la testa, cosa comune nei ritratti di Watts, che si eleva dalla vaga colonna scura del corpo in una luce spirituale (...) la caratteristica importante di questa immagine erano gli occhi, grandi e luminosi, e la barba una fiumana di argento e panna, (...) fonte di apparente luce.") (Poss., p. 20)

     All'inizio del romanzo, i ritratti indicano quindi  l'attaccamento di Roland ad Ash, la continua presenza del poeta vittoriano alla mente del suo studioso. Le immagini diverse che però ne vengono date contemporaneamente, forniscono di Ash una figura scissa nelle interpretazioni che ne offrono coloro che lo hanno ritratto. Tale frammentazione sembra qui alludere già a quella consapevolezza, cui Roland giungerà solo più tardi nella sua formazione, dell'inesistenza di punti di riferimento univoci ed assoluti. Alla conclusione della vicenda, infatti, quando Roland torna nella propria casa prima di andarsene definitivamente, si rende conto che i quadri che credeva gli mostrassero fedelmente la persona di cui erano un ritratto, non rappresentino tanto Ash, quanto piuttosto lo stile dei pittori che lo hanno dipinto:

"These dead men, and Manet's wary, intelligent sensualist and Watts's prophet were all one - though also they were Manet and Watts" (P. 472)

("Questi uomini morti  ( le immagini di Ash suggerite a Roland dalla maschera mortuaria) erano tutt'uno con la cauta, intelligente, sensuale figura di Manet e con quella profetica di Watts - benché  questi ultimi fossero anche Manet e Watts.") (Poss, p. 471)

     Spossessato della certezza di cogliere nei ritratti  il poeta Ash, Roland sente quindi queste immagini come estranee e lontane: " Roland had once seen them as parts of himself. How much they had been that, to him, he only now understood, when he saw them as wholly distant and separate,  not an angle, not a bone, not a white speck of illumination comprehensible by him or to do with him" (P.467) (Un tempo Roland li aveva considerati parti di se: quanto lo fossero stati veramente lo capiva solo ora, che li vedeva nettamente separati e distinti, non un'angolatura, nè un osso, nè un bianco grumo di luce che gli fossero comprensibili o lo riguardassero", Poss., p. 465) Il legame privilegiato che Roland pensava di avere con il poeta si è infatti trasformato nella consapevolezza della necessaria distanza che li separa.

"What Ash said - not to him specifically, there was no privileged ommunication." (P.473)

("Ash stava dicendo - non a lui in particolare, non c'era alcuna comunicazione privilegiata.") (Poss., p. 471)

In questo modo, la presenza di Ash, che rappresentava un aspetto opprimente del monolocale di Putney e  lo avvicinava sinistramente alla lugubre Ash Factory, si è invertita nell'immagine della distanza e del distacco vitali a ogni spirito autonomo, e ha così sottolineato il processo formativo di Roland.

     Oltre che dal diverso rapporto che ha con i ritratti di Ash, la crescita di Roland viene suggerita anche dal cambiamento che subiscono altri aspetti caratterisitici dell'appartamento, quali la presenza dei gatti e del giardino proibito al quale alla fine potrà avere accesso. L'attrazione che Roland prova per il giardino suggerisce il suo desiderio iniziale di tornare a far parte di un mondo in armonia con la natura dal quale si sente escluso, ma allo stesso tempo sembra anche anticipare la "liberazione" (poss.468) dei suoi due abitanti. Come per i ritratti, che sin dall'inizio sembrano promettere un cambiamento, lo stesso avviene per il giardino che, seppur proibito, rimane a suggerire la possibilità di uscire in un luogo verde e aperto. La prima descrizione che ne viene fatta lo presenta infatti come l'Eden perduto, nei confroni del quale Roland prova un senso di esclusione e di nostalgico rimpianto: non è infatti tanto l'apertura del luogo, peraltro scarsa, che lo attrae, quanto il valore simbolico di paradiso originario ed assoluto:

"The garden was long, thin, bowery, with sunny spots of grass, surrounded by little box hedges, its air full of roses, swarthy damask, thick ivory, floating pink, its borders restraining fantastic striped and spotted lilies, curling bronze and gold, bold and hot and rich. And forbidden (...) They (Roland e Val)  were not even allowed to attempt to grow things in tubs in their black area." (P.17)

("Il giardino era lungo, stretto, ombroso, con soleggiate chiazze d'erba, circondate da piccole siepi squadrate, l'aria piena di rose, intense damascene, Tèa carnose, fluttuanti rose di Provenza; entro i suoi confini racchiueva fantastici gigli striati e maculati, con petali riccioluti color bronzo e oro, vigorosi, caldi, opulenti. E proibiti.(...) Non era loro (a Roland e Val) permesso neppure di tentare qualche coltivazione in vaso nella loro buia fetta di cortile." (Poss., p. 21)

Durante il corso della vicenda il giardino rimarrà proibito fino al momento della "liberazione" (Poss. 468) di Roland. I frutti "color bronzo e oro" che vi sono rinchiusi, simbolo in tutto il romanzo della parola poetica, della creatività e della libertà (le mele d'oro) saranno significativamente accessibili solo quando Roland si sarà aperto alla poesia. Queste infatti sono le parole del narratore:

"He tought there was no reason why he should not go out into the garden. He went back through the basement (...) pulled open the forbidden bolts, against the grittiness of the rust (...) The night air came in, cold and damp and earthly, and the cats came out with him (...) He could see the espaliered peaches on the red bricks of the serpentining wall which had once bounded General Fairfax's Putney estate. He walked over and touched  the wall (...) Roland was not sure why he felt so happy. He walked along the path (...) to the end of the garden, where a couple of fruit trees obscured the view of the garden beyond." (P. 474)

(Roland) ("Pensò che non c'era ragione di non uscire in giardino. Ritornò nel seminterrato (...) tirò i chiavistelli proibiti, vincendo l'attrito della ruggine (...)L'aria notturna entrò fredda e umida e profumata di terra e i gatti uscirono con lui (...)poteva vedere i peschi coltivati a spalliera sui mattoni rossi del muro serpeggiante che un tempo aveva delimitato la proprietà del generale Fairfax (...) si avvicinò e toccò il muro (...)Roland non sapeva con certezza perché si sentisse così felice (...) seguì il sentiero (...)fino al limite del giardino, dove un paio di alberi d frutto impedivano la vista del giardino confinante" (Poss., pp. .472-3)

    L'atteggiamento di Roland nei confronti del giardino e dei frutti che vi crescono sembra ora molto diverso rispetto all'intenso desiderio nutrito all'inizio della vicenda. Roland contempla sereno questi spazi, soffermandosi sui confini di questo luogo, sul muro che lo delimita. Il giardino non rappresenta più un Eden sconfinato da conquistare, ma appare a Roland nella sua limitatezza e particolarità. Nemmeno i frutti - come le opere di Ash - sono più oggetto proibito di cui impossessarsi, ma  elementi della natura che osserva con gioia. Roland sembra così liberato dall'ossessione che lo dominava  e guardarla con distacco. La via che gli si prospetta alla fine del romanzo, quando gli vengono offerti tre ambiti impieghi a Hong Kong, Barcellona e Amsterdam, lo porta infatti lontano, verso città a lui sconosciute. Roland, alla conclusione della sua formazione, rinuncia quindi a nonstalgici rimpianti, per accettare di far parte di un vasto mondo che non potra mai dominare e che gli è estraneo.

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